Una tregua per Gaza?, di Alessia De Luca

C’è un possibile spiraglio per la tregua nella Striscia di Gaza: lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump, secondo cui Israele avrebbe accettato una proposta di cessate il fuoco di due mesi, e ha esortato Hamas a fare lo stesso. “Israele ha accettato le condizioni per una tregua di 60 giorni, durante la quale lavoreremo con le parti per mettere fine definitivamente alla guerra”, ha scritto il tycoon su Truth Social. “La proposta di tregua sarà presentata ufficialmente dal Qatar e dall’Egitto, che hanno lavorato duramente per metterla a punto”, ha aggiunto. “Spero, per il bene del Medio Oriente, che anche Hamas accetterà la proposta, che è l’unica possibile. In caso contrario la situazione continuerà a peggiorare”. La notizia è arrivata a pochi giorni dal vertice alla Casa Bianca tra il tycoon e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, atteso a Washington lunedì 7 luglio. A poco più di una settimana dalla fine della guerra ‘dei 12 giorni’ contro l’Iran – e mentre la Striscia di Gaza è devastata da quasi 21 mesi di guerra e una catastrofe umanitaria senza precedenti – i due alleati stanno preparando con cura il faccia a faccia a Washington lunedì prossimo. Entrambi vogliono presentare la campagna di bombardamenti contro l’Iran come un grande successo e non perderanno l’occasione per ribadire a Teheran che qualsiasi rilancio del programma nucleare verrà bloccato con nuovi e più intensi bombardamenti. Hamas, dal canto suo, si è detto pronto ad accettare l’accordo se mira a raggiungere “una fine completa della guerra”. Netanyahu, commentando l’annuncio di Trump, ha invece insistito sul fatto che Israele può liberare gli ostaggi israeliani ancora a Gaza senza rinunciare all’obiettivo di sconfiggere Hamas.

Civili sotto attacco?
Intanto, a Gaza 20 persone sono rimaste uccise in nuovi attentati e sparatorie nella sola giornata di martedì mentre la Croce Rossa ha dichiarato di essere “profondamente allarmata” dall’escalation delle operazioni militari israeliane in corso. Secondo l’organizzazione umanitaria, sei persone sono state uccise al centro dell’enclave mentre attendevano di ricevere aiuti umanitari. In una dichiarazione all’Agenzia France Presse, l’esercito israeliano ha affermato di aver sparato ‘colpi di avvertimento’ per allontanare individui sospetti e di non essere a conoscenza di feriti a seguito dell’accaduto. Inoltre, è salito a 42 morti e 72 feriti il bilancio del bombardamento israeliano contro il caffè Al-Baqa, sul lungomare di Gaza City, lunedì scorso. “Quello che è successo è un vero massacro contro i civili. I corpi sono stati gettati in mare. L’ospedale è pieno zeppo. Alcuni feriti sono morti dopo il loro arrivo perché non abbiamo letti per ospitarli” ha dichiarato Muhammad Abu Salmiya, direttore di Al-Shifa. Il locale – frequentato soprattutto da giornalisti, artisti e studenti – era un punto di ritrovo che offriva una connessione internet stabile, una rarità nell’enclave martellata da continui attacchi aerei. L’attacco, ha denunciato su X Ramy Abdu, professore e presidente dell’Osservatorio Euro-Mediterraneo per i Diritti Umani “dimostra ancor una volta che Israele sta deliberatamente prendendo di mira i luoghi che i giornalisti usano per inviare i loro reportage e le loro immagini”. Dal 7 ottobre 2023, data dell’attacco di Hamas che ha scatenato la guerra, Israele ha ucciso 227 giornalisti a Gaza.

Tregua: chi rema contro?
Non è chiaro se la proposta di Trump avrà successo. Finora, tutti i tentativi di realizzare una tregua sono naufragati sul disaccordo relativo all’opportunità di collegare l’intesa ad una conclusione del conflitto. Hamas sostiene che un cessate il fuoco debba includere la fine della guerra e il ritiro completo dell’esercito israeliano dalla Striscia, richiesta che Israele rifiuta. Dal canto suo, Israele afferma che porrà fine alla guerra solo in cambio dello smantellamento e dell’esilio dei vertici Hamas dalla Striscia, una condizione inaccettabile per il gruppo armato palestinese. A pesare sull’intesa, segnala Haaretz, anche le mosse interne alla coalizione israeliana. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir avrebbe contattato il titolare delle Finanze, Bezalel Smotrich, per boicottare la proposta americana. I due – leader dei partiti Otzma Yehudit e Sionismo Religioso – potrebbero incontrarsi nelle prossime ore per definire una strategia comune. A questo punto, come osserva Stephen Cook su Foreign Policy, “la maggior parte dei leader di Hamas a Gaza è morta, i pochi rimasti hanno poche risorse e affrontano l’opposizione crescente di una popolazione indignata. La guerra continua solo per servire il programma annessionista dell’estrema destra israeliana”.

Pace vera o teatro?
Se la guerra continuerà o meno dipenderà, come è accaduto più volte in passato, dal dialogo tra il primo ministro israeliano e il presidente degli Stati Uniti. In questi giorni, il presidente Usa si è scagliato contro la magistratura israeliana che, a suo dire, “perseguita” il premier sotto processo in almeno tre procedimenti giudiziari con capi di imputazione diversi. Su Truth Social ha scritto: “Il processo deve essere annullato immediatamente, o in alternativa si conceda la grazia a un Grande Eroe”. In quasi 21 mesi di guerra a Gaza, più volte Netanyahu ha invocato l’emergenza nazionale per ottenere il rinvio delle sue udienze e chiamare alla coesione un paese che, alla vigilia del 7 ottobre 2023, contestava il premier indagato con manifestazioni di piazza che ne chiedevano le dimissioni. Di recente, l’ex presidente della Corte Suprema Aharon Barak ha detto di essere “favorevole a un accordo con Netanyahu, patteggiamento o grazia che sia, purché riporti la calma”. Pochi però credono che il premier non abbia qualche carta da giocare. “Il principale ostacolo oggi è lo stesso di un anno fa: la riluttanza di Israele a chiudere davvero la guerra e il rifiuto di Hamas ad accettare condizioni diverse”, osserva Daniel DePetris, analista di politica estera del Chicago Tribune. “A meno che Trump non riesca a conciliare due posizioni inconciliabili, questo è solo teatro”.

Commento
“Per molti presidenti la pace in Medio Oriente, in particolare fra israeliani e palestinesi, era l’irraggiungibile mezzo per entrare nella Storia. Nella sua compulsiva caccia alle paci– India e Pakistan, Congo e Ruanda, la più elusiva fra Russia e Ucraina – anche Donald Trump non poteva che ambire alla pace delle paci. Ma fermare la guerra su Gaza sarebbe solo la parte più facile dell’impresa. È il dopo, la soluzione politica, il passo complicato. In 21 mesi di bombardamenti Benjamin Netanyahu non ne ha mai indicata una. Se l’israeliano accetta la proposta di Trump (ancora non chiara), l’americano offre all’israeliano un pacchetto di sotto-paci: con Sauditi, Libano, Siria. Il prezzo è l’apertura di un negoziato per uno stato palestinese: cioè l’ostacolo che ha impedito ai presidenti americani di entrare nella Storia”.

ispionline.it/it/pubblicazione/una-tregua-per-gaza-213051

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