Poco meno di un terzo degli aventi diritto ha dunque scelto di votare per i cinque referendum in materia di leggi sul lavoro e di cittadinanza. Era la soglia minima di affluenza, il 30%, individuata alla vigilia dai promotori, soprattutto dai partiti del cosiddetto “campo stretto” (Pd, M5s e Avs) per poter dire di non avere del tutto fallito il bersaglio. Circa 13 milioni i voti per il Sì ed è stato sottolineato che sono 700mila in più di quelli che, alle ultime elezioni politiche, hanno consentito a Giorgia Meloni di essere incaricata dal presidente della Repubblica di formare il Governo in carica. Allo stesso tempo la percentuale è talmente distante dall’agognato quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto (in cui probabilmente nessuno dei protagonisti ha mai creduto veramente) da far rivendicare alla maggioranza di centrodestra, che aveva in larga parte suggerito agli elettori di starsene a casa, al mare o ai monti piuttosto di recarsi ai seggi, una vittoria politica e una disfatta del fronte avversario. A cose fatte e a urne chiuse, poi, addosso a Elly Schlein e soci è caduta la pioggia gelida delle critiche amiche: quelle dell’area riformista dem, di Calenda e di Renzi.
Certo è che, da qualunque prospettiva si osservi l’esito di questi referendum, c’è poco da stare allegri e molto da apprendere. A patto di avere la volontà, innanzi tutto politica, di volerlo fare. Si può senz’altro pensare di cambiare le regole, come del resto si è già cominciato a teorizzare: alzare il numero minimo delle firme necessarie per proporre un referendum abrogativo (la soglia fissata in Costituzione è di 500mila) perché con la raccolta on line tutto è diventato più facile; abbassare il quorum necessario per rendere valido il risultato; parametrarlo all’affluenza delle ultime elezioni; miscelare il tutto… Ma, a parte il fatto che per i quesiti sul lavoro la Cgil ha raccolto ben quattro milioni di firme (non soltanto digitali), siamo proprio sicuri che il problema sia nelle regole e non, piuttosto, nella disaffezione degli italiani alla partecipazione democratica? Soprattutto alla partecipazione “dal basso”, in cui si decide se mantenere o cancellare determinate norme di legge? E abbassare il quorum non sarebbe come arrendersi, prendere atto cioè che a votare vanno in pochi e andranno sempre in pochi, forse ancora meno di oggi? Non è come allargare la porta perché non si riesce a fare gol?
È vero infatti che astenersi è un’opzione del tutto legittima, tuttavia ci piacerebbe davvero poter credere che il 70% dei non votanti di domenica e lunedì l’abbia esercitata come critica alla formulazione dei quesiti o in dissenso rispetto ai temi scelti, piuttosto che per indifferenza, sfiducia, paura o volontà di far fallire l’iniziativa. Una motivazione, quest’ultima, che si è letta chiaramente nelle dichiarazioni pre e post voto di esponenti di primissimo piano del Governo e della maggioranza, sarebbe ingenuo credere che in un quadro politico polarizzato come il nostro i militanti/sostenitori più convinti del centrodestra non abbiano seguito quelle indicazioni. Quanto all’indifferenza e alla sfiducia, le si può scorgere nell’affluenza sotto la media nazionale in alcune zone del Paese più duramente toccate dalla precarietà del lavoro e dalla sua insicurezza: evidentemente il messaggio semplificato “meno precarietà e più sicurezza” veicolato dalla Cgil non ha sfondato. Così come non è riuscita a convincere l’informazione sulla proposta di dimezzare i tempi per la cittadinanza di stranieri adulti, maggiorenni e già in possesso di tutti gli altri requisiti di legge per diventare italiani: i No espressi da chi è andato a votare, più numerosi che per gli altri quesiti, testimoniano una paura e un’ostilità che preoccupano, alimentate non di rado da fantasmi agitati per propaganda.
Ma un Paese che voglia confrontarsi serenamente su temi concreti avrebbe bisogno di un Parlamento che torni a essere luogo di autentico confronto e di decisioni anche condivise. Sarebbe possibile, come ha dimostrato l’occasione mancata l’anno scorso alla Camera sullo Ius Scholae. Sarebbe onorevole, molto di più che puntare in primo luogo all’affondamento dell’avversario. E potrebbe essere la molla per restituire anche ai cittadini la voglia di partecipare.
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