Dall’accoglienza all’espulsione (e viceversa)/1, di Riccardo Garbetta

Quello che oggi definiamo, a detta di un membro di Governo attuale: una “sostituzione etnica” non nasce dalla migrazione nord africana o siriana o dal Bangladesh; quando l’8 agosto del 1991, la motonave VLORA si mette alla fonda dinanzi al porto di Bari, proveniente da Durazzo con il suo carico di circa 20.000 persone, abbiamo (ri)preso coscienza che l’uomo emigra per motivi economici, di sicurezza, per sfuggire ai vari scenari di guerra…e non lo puoi fermare!

Da quel lontano giorno di agosto, ogni governo che si è succeduto alla guida del Paese (anche perchè dai Paesi balcanici e da quelli dell’ex URSS continuavano ad arrivare migranti) ha cercato di arginare quello che veniva visto come un fenomeno (quindi a se stante), attraverso la creazione di strutture che, nel corso degli anni, hanno cambiato nome e funzione.

Siamo passati dalla creazione di Centri di Permanenza Temporanea (CPT) alla loro evoluzione in Centri di identificazione ed Espulsione (CIE), fino a diventare, con la Legge Minniti-Orlando del 2017 gli odierni Centri di Permanenza per Rimpatri (CPR).

Ma, nel frattempo, venivano create anche realtà che si dovevano occupare di accoglienza dei migranti in attesa dei vari riconoscimenti di profugo o di protezione internazionale. Parliamo dei Centri di Accoglienza e Richiedenti Asilo (CARA), costituiti per l’identificazione e l’avvio delle procedure relative alla protezione internazionale. I richiedenti asilo avrebbero dovuto restare fino a un massimo di 35 giorni in attesa che la loro richiesta di protezione fosse esaminata dalla commissione territoriale competente. Un sistema caratterizzato da centri di grandi dimensioni, costi elevati, bassa qualità dei servizi erogati e isolamento dai centri urbani.

Dal 2015 queste strutture vengono sostituite dai Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS); sono strutture gestite dai Prefetti che ospitano i migranti in situazioni di emergenza o che necessitano di un’accoglienza immediata.

Il sistema di accoglienza in Italia è complesso e comprende diverse tipologie di strutture:

  • Centri di Prima Accoglienza (CPA): Sono strutture che ricevono i migranti appena sbarcati in Italia.
  • Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS): Sono strutture gestite dai Prefetti che ospitano i migranti in situazioni di emergenza o che necessitano di un’accoglienza immediata.
  • Sistema di Accoglienza e Integrazione (SPRAR-SAI): Si tratta di progetti a lungo termine che prevedono la fornitura di alloggi, assistenza sociale, supporto linguistico e professionale ai migranti ai quali è stato riconosciuto lo status di richiedente asilo.
  • Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR): Sono strutture che ospitano i migranti in attesa di essere rimpatriati.

In sintesi:

Il sistema di accoglienza in Italia è stato riformato e, a partire dal 2015, non esistono più i CARA, centri che avevano visto un allentamento delle restrizioni originarie, con la possibilità concessa agli ospiti di poter circolare liberamente all’esterno del Centro stesso.

A fronte di un numero sempre in continua ascesa di profughi provenienti da molteplici Paesi alle prese con conflitti interni ed esterni, difficilmente si parla di progettualità nell’accoglienza bensì di come rispedire chi arriva sulle nostre coste (senza dimenticare i nostri valichi alpini) nei Paesi di provenienza o di origine.

 

Nei 10 CPR disseminati sul territorio nazionale vige un regime equivalente a quello carcerario, laddove i diritti più basilari di coloro che ci vivono dentro sono quasi del tutto cancellati. Se poi scopriamo che la mancanza di documenti rientra nei reati amministrativi e non i quelli giudiziari, ci dovremmo chiedere quanto sia ingiusta la detenzione di tanti poveri cristi.

Affidati a Cooperative, nate non si comprende con quale scopo, i CPR sono gestiti con metodi a dir poco scellerati; basti pensare al CPR di Gradisca d’Isonzo in provincia di Gorizia, che è soprannominato la “Guantanamo Italiana”.

 

Ma se “Atene piange, Sparta non ride”.

Il CPR di Bari-Palese, nato come CARA e poi, saltando varie vicissitudini legate a rivolte, ad incendi e ristrutturazioni varie dal 2017 diviene CPR e conta circa 90 posti (dai circa 150 iniziali), con servizi minimali di igiene, accesso interdetto al campetto, assenza di luoghi di culto e recintato da una barriera di vetro infrangibile oltre che da una recinzione di cemento armato alta sei metri che rende il centro invisibile dall’esterno.

Nel 2023 il Cpr di Bari è costato complessivamente due milioni di euro, per un costo medio di un singolo posto pari a poco meno di 24 mila euro.

 

Il CPR di Brindisi-Restinco sorge in aperta campagna e nei pressi della Base del Battaglione San Marco. La gestione del Centro è stata affidata per una decina di anni, all’Associazione Sociale “Fiamme D’Argento”, un’organizzazione di Carabinieri in pensione, senza alcuna esperienza in tema migratorio, poi trasformata in Cooperativa Sociale “La Fedelissima”. “

Nel 2023 il Cpr di Brindisi è costato complessivamente ottocentomila euro, per un costo medio di un singolo posto di circa 57 mila euro. Un dato quest’ultimo, ben al di sopra della media nazionale da mettere in relazione con l’esiguo numero di posti disponibili nella struttura nel corso del 2023.

 

A seguito di un rapporto del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti che dal 2 al 12 aprile 2024 ha visitato 4 CPR sui 9 allora esistenti, il Consiglio d’Europa ha inoltrato una nota ufficiale al governo italiano segnalando gli elementi negativi riscontrati che sono: “pessime condizioni materiali, assenza di un regime di attività, approccio sproporzionato alla sicurezza (leggi: ricorrenza alla forza), qualità variabile dell’assistenza sanitaria e mancanza di trasparenza da parte degli appaltatori privati”. Tali negatività, secondo il Comitato Europeo “mettono in discussione” anche la replica del modello in Albania.

Ma l’accusa più pesante riguarda i maltrattamenti e la sedazione con psicofarmaci.

Stupenda la risposta informale data dal governo italiano: “Le nostre fonti evidenziano come tutti i trattamenti sanitari, compresa l’eventuale somministrazione di psicofarmaci, sono disposti su indicazione dei medici e all’interno dei Cpr sono previsti anche presidi sanitari. Non risulterebbe peraltro riscontrata la somministrazione impropria di farmaci, “circostanza peraltro mai oggetto di sentenze della magistratura”.

Della serie: se nessuno dall’interno se ne lamenta vale tutto!

[Direttore ufficio Migrantes dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, Margherita di Savoia]

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