JOSE’ MUJICA UN UOMO STRAORDINARIO, da il Post “Mondo”

È stato spesso definito «il presidente più povero del mondo» perché dopo la sua elezione alla presidenza dell’Uruguay, nel 2009, continuò a vivere in una piccola casa vicino alla capitale Montevideo, continuò ad andare al lavoro con il suo Maggiolino blu del 1987 e a volare in classe economica decidendo di devolvere quasi il 90 per cento del proprio stipendio mensile in beneficenza. Ma al di là del suo stile di vita spartano furono la vita degna di un romanzo e i risultati positivi della sua presidenza ad aver reso José “Pepe” Mujica, che è morto  il 13 maggio 2025 a 89 anni, un punto di riferimento e una figura amatissima dalla sinistra latinoamericana e non solo.
In queste ore Mujica è stato ricordato e raccontato da molti. È stato detto come fosse un uomo allo stesso tempo potente e umile, visionario e popolare. Ed è stato descritto come lontano dalle ideologie perché, nonostante la sua provenienza politica, non aderì mai al socialismo del XXI secolo proclamato da Hugo Chávez in Venezuela e portato avanti da altri leader sudamericani.
Ne condivideva, in parte, il programma e la lotta antimperialista, ma non l’impostazione ideologica: «Una delle principali fonti di conoscenza è il senso comune» disse ai due giornalisti uruguaiani Andrés Danza e Ernesto Tulbovitz, autori di un libro a lui dedicato (Una oveja negra al poder, “Una pecora nera al potere”): «Il problema è quando metti l’ideologia al di sopra della realtà. La realtà ti arriva come un pugno e ti fa rotolare per terra… Io devo lottare per migliorare la vita delle persone nella realtà concreta di oggi e non farlo è immorale. Questa è la realtà. Sto lottando per degli ideali, ok; ma non posso sacrificare il benessere della gente per degli ideali».

Mujica è stato raccontato come un uomo «modesto ma coraggioso», come scrisseil settimanale britannico Economist, non attratto né affascinato dal potere. Che dimostrò, anzi, come il potere si potesse conciliare con la fedeltà alle proprie convinzioni e che il potere lo seppe usare. Bene, secondo molti, poiché quando lasciò la presidenza l’Uruguay era un paese più libero, più prospero e con meno povertà. Nonostante i suoi detrattori lo accusassero talvolta di avere uno stile troppo diretto fu proprio questa sua autenticità a renderlo gradito in modo piuttosto trasversale. Non cercò mai di agire seguendo il consenso né di accontentare tutti, impegnandosi solo a difendere ciò che riteneva giusto. Su di lui sono stati girati film e documentari (Pepe Mujica, una vita suprema di Emir Kusturica, o Compañeros, che raccontava i suoi anni di carcere, tra gli altri) e sono stati scritti moltissimi libri.
José Mujica è stato il quarantesimo presidente dell’Uruguay, un piccolo paese pioniere nella creazione dello stato sociale e la cui storia è stata oscurata da una dittatura, prima civile e poi militare, che è durata dal 1973 al 1985. Nato nel 1935, rimasto orfano di padre a otto anni e cresciuto in quella che lui stesso definì una «dignitosa povertà», Mujica fu innanzitutto un guerrigliero di sinistra che dagli anni Sessanta scelse di dedicarsi alla lotta armata con il movimento dei Tupamaros, un’organizzazione ispirata al marxismo e che si rifaceva agli obiettivi della Rivoluzione cubana. Mujica, in quegli anni, venne ferito sei volte in scontri armati e arrestato quattro. Evase di prigione due volte e trascorse in carcere un totale di circa quindici anni.
Venne imprigionato nel 1972 trascorrendo in isolamento la maggior parte del tempo, nove anni, inclusi i due in cui fu confinato in una buca scavata nella terra dove condivideva lo spazio con topi e rane. Subì torture, privazioni, malattie e in seguito confessò che la punizione peggiore fu per lui quella di essere privato dei libri. «A volte, il dolore è una cosa positiva se si è in grado di trasformarlo in qualcos’altro», dirà Mujica agli studenti dell’American University di Washington nel 2014. La prigione, proseguì in quell’occasione, «è stata brutta, ma allo stesso tempo ho ritrovato me stesso. Se mai vi dovesse succedere qualcosa, cercate di ricordare che siete forti, che potete ricominciare e che ne vale la pena». Mujica fu liberato solo nel 1985 grazie all’amnistia generale concessa dalle forze democratiche – che nel frattempo erano prevalse – a tutte le persone incarcerate dal regime.
Dopo aver abbandonato la lotta armata Mujica creò un partito, il Movimento di Partecipazione Popolare (MPP), che entrò a far parte della coalizione di sinistra Frente Amplio, decisiva per l’elezione alla presidenza del paese del socialista Tabaré Vázquez, nel 2005. Eletto deputato e poi senatore, tra il 2005 e il 2008 fu ministro per l’Allevamento, l’Agricoltura e la Pesca imponendo da subito uno stile politico differente e tutto suo che incuriosì i media di mezzo mondo: «Qualunque sia il proprio posizionamento politico è impossibile non rimanere impressionati o affascinati da José “Pepe” Mujica», scrisse ad esempio la BBC.
Lasciato il governo, nel 2008, si preparò per le successive elezioni presidenziali. A novembre 2009 venne eletto con quasi il 55 per cento dei voti spiegando di essere «più che completamente guarito dalle semplificazioni, dal dividere il mondo in bene e male, dal pensare in bianco e nero». Durante la campagna elettorale accettò di sostituire il pesante maglione che era solito indossare con un abito, ma rifiutò sempre la cravatta.
Da presidente, insieme alla moglie, la senatrice e compagna di lotte Lucia Topolansky, Mujica non volle vivere nella residenza riservata al suo ruolo nel centro di Montevideo e rimase nella sua piccola proprietà alla periferia della capitale, composta da una casa di meno di 50 metri quadrati e da un appezzamento di terra dove coltivava fiori, la cui rivendita era stata per lungo tempo il suo unico mezzo di sussistenza. Durante la forte ondata di freddo che colpì l’Uruguay all’inizio del suo mandato, inserì addirittura la residenza presidenziale nell’elenco delle strutture aperte a chi non aveva una casa.

Mujica accettò con riluttanza la scorta, ma rifiutò qualsiasi domestico. Rinunciò all’87 per cento del proprio stipendio trattenendo solo ciò che riteneva strettamente necessario per le spese correnti: meno di 1000 euro al mese. «È una questione di libertà», spiegò: «Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare tutta la vita come uno schiavo per mantenerli e quindi si ha più tempo per sé. Potrei sembrare un vecchio eccentrico, ma questa è solo una mia libera scelta».

Fu in ambito sociale che le riforme promosse da Mujica cambiarono l’Uruguay trasformandolo in un modello per l’intero continente. Nel 2012 spinse per la depenalizzazione dell’aborto, e fu un passo notevole per un paese nel quale fino a quel momento venivano puniti col carcere sia il medico che praticava l’aborto sia la donna che lo richiedeva. Nell’aprile del 2013 sotto la sua presidenza furono legalizzati anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso e sempre nel 2013 venne legalizzata marijuana. «L’aborto è vecchio quanto il mondo», disse Mujica al quotidiano brasiliano O Globo, «e il matrimonio tra persone dello stesso sesso è più vecchio del mondo».

All’estero la sua fama continuò a fare notizia. Come si poteva, ha scritto ieri Libération, non amare un leader che poteva arrivare a una riunione del Consiglio dei ministri in sandali con i pantaloni arrotolati, o lasciare un incontro dicendo: “Mi dispiace, devo aiutare mia moglie a raccogliere le zucche”? Era «l’ultimo degli hippy», avrebbe poi detto di lui con ammirazione il presidente argentino di sinistra Alberto Fernández.

Mujica si dimostrò un oratore efficace e spontaneo. I suoi interventi alle Nazioni Unite o agli altri vertici internazionali contro il «dio mercato», la crescita sfrenata del capitalismo e a favore dell’ambiente vennero raccontati in tutto il mondo. La felicità era per lui un orizzonte politico: «Lo sviluppo deve essere a favore della felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane», disse al vertice della Celac (Comunità stati latinoamericani e dei Caraibi) che si tenne all’Avana nel 2014.

Negli anni della sua presidenza fu anche il più ammirato rappresentante della cosiddetta “marea rosa”, il fenomeno che nel corso degli anni Duemila portò la gran parte dei paesi di quell’area a essere governati da forze di sinistra e progressiste, dopo anni di dittature militari e governi civili conservatori. L’espressione “marea rosa” si riferiva al fatto che gli esperti avevano visto nelle vittorie elettorali della sinistra del tempo non un’ascesa del comunismo (il cui colore simbolico è il rosso), ma di forze socialiste relativamente più moderate, non ideologiche e aperte a un liberalismo progressista.

I suoi successi in campo economico, sempre bilanciati da una grande attenzione alla vita reale delle persone, furono indiscussi. Mujica cercò di promuovere il commercio, lo sviluppo e di attrarre nuovi investitori stranieri, soprattutto nel settore minerario («Se li caccio e nazionalizzo, corro il rischio che si riducano gli investimenti e i posti di lavoro per la mia gente», raccontò). Durante la sua presidenza i salari aumentarono e la disoccupazione, tradizionalmente bassa in Uruguay, si mantenne intorno al 6 per cento. Nei cinque anni del suo governo il salario minimo aumentò del 250 per cento, l’economia uruguaiana crebbe del 3,6 per cento annuo, i progetti per le energie rinnovabili vennero finanziati e diminuì il numero di persone che vivevano in povertà. Mujica riuscì anche a disinnescare una disputa che durava da anni con l’Argentina, coltivò buoni rapporti con gli Stati Uniti e si rifiutò di modificare la Costituzione del paese per prolungare la sua presidenza.

Attribuì sempre poca importanza al fatto di essere al potere, perché per lui «si trattava solo di una circostanza», come disse. E quando lasciò la politica istituzionale, nell’ottobre del 2020, all’età di 85 anni, spiegò così la sua decisione: «A cosa serve un vecchio albero se non lascia passare la luce affinché nuovi semi possano crescere tra le sue foglie?». Ai giovani attivisti che si preparavano a raccogliere la sua eredità disse: «Non siete delle formiche o degli scarafaggi, perché avete una coscienza. Invece di inseguire un destino naturale, una tradizione o di condurre una vita senza senso, potete fare qualcosa con il mondo in cui vivete. Prendete la vita nelle vostre mani e costruite un progetto collettivo».

Nella piccola casa vicino a Montevideo, sulle sedie di plastica che stavano nel suo giardino, il pensionato Mujica continuò ad accogliere autorità, giornalisti e ammiratori da tutto il mondo continuando a condividere ciò in cui credeva: «La frenesia consumistica ci ruba la libertà, invade il posto che dovrebbe occupare l’emozione. Nella vita dobbiamo riservare del tempo per le relazioni umane, l’amore, l’amicizia, l’avventura, la solidarietà, la famiglia». Nei suoi interventi continuò a mettere sempre in guardia i giovani dai pericoli dell’alienazione sociale: «Non sprecare il tuo tempo lavorando per guadagnare soldi, avrai solo sprecato la tua vita, il tempo della tua vita, la cui unica cosa importante è viverla con gli altri. Vivi come pensi o finirai per pensare come vivi.

Mujica e la moglie non ebbero dei figli perché, come spiegò lui stesso, erano entrambi troppo impegnati a cercare di fondare una nuova società: «Appartengo a una generazione che ha cercato di cambiare il mondo», disse ancora.

José “Pepe” Mujica è morto per un cancro all’esofago che gli era stato diagnosticato nell’aprile del 2024. Il suo vecchio Maggiolino gli sopravvive. Un ricco ammiratore, una volta, gli offrì un milione di dollari per averlo. Dopo aver pensato di donare la somma in beneficenza, alla fine lui rifiutò l’offerta: «Sarebbe stata un’offesa per gli amici che avevano contribuito a donarmela», raccontò. Mujica ha chiesto che le sue ceneri vengano sepolte sotto un albero del suo giardino, dove si trovano anche i resti di Manuela, il suo cane a tre zampe morto all’età di ventidue anni.

da il Post del 14 maggio 2025

https://www.ilpost.it/2025/05/14/jose-pepe-mujica/

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