L’amore difficile, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 

Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 31-35 – V di Pasqua/C).

La guerra in Ucraina, lo sterminio degli abitanti di Gaza e i conflitti in altre parti del mondo, per quanto lontano possano essere sono un invito a riflettere su come noi amiamo gli ultimi, i poveri e i gesti che poniamo per essi, in tanti modi e occasioni. Eppure non tutti i cattolici la pensano alla stessa maniera: ci sono cattolici chiusi agli altri, poco disponibili, col cuore e col portafoglio, ad andare incontro a chi ha bisogno, per la guerra o per altre disgrazie. Non intendo dire che  tutti gli altri – da me per primo – sono capaci di amare come Gesù comanda. Tutti siamo mancanti in termini di amore: lo spartiacque è tra chi si sforza di amare, tra tanti limiti e mancanze e chi pensa che l’amare gli altri non sia fondamentale e decisivo per essere cristiani. Pensiamo al razzismo, al rifiuto dei migranti, delle persone LGBT, dei poveri e degli ultimi, atteggiamenti presenti in politici credenti come in semplici parrocchiani, preti e vescovi.

Mi chiedo: cosa sta succedendo? E’ qualcosa di nuovo? Oppure è sempre esistito, nella Chiesa cattolica italiana e non solo, questo cocktail di razzismo, rifiuto, assurde interpretazioni evangeliche, attacchi a chi opera nella carità e cosi via. Che sta succedendo?

Tra i sentimenti, che questi fatti, suscitano in me è preponderante quello della tristezza. Dovremmo riflettere, pregare e aiutarci ad amare sempre meglio tutti, partendo dagli ultimi e invece inneschiamo assurde e offensive polemiche sui gesti di carità. Poi, in questa domenica e in altri momenti, ascoltiamo Gesù che ci dice: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Ma che senso ha? Quanto scalfisce il cuore e la mente di coloro che, pur facendo la comunione, continuano a essere chiusi agli altri e razzisti irriducibili? Aiuta chi già ama gli altri sinceramente ad amarli ancor più?

Il comandamento dell’amore, in questo brano, si inserisce in un contesto drammatico. Gesù sta per morire, scomparire dalla vita dei discepoli: vuole rinnovare il loro modo di pensare alla vita di fede (comandamento nuovo) e vuole che la sua opera continui (“da questo tutti sapranno che siete miei discepoli”). In quest’ottica l’invito ad amarsi gli uni altri non è una questione legata al mi piace – ci riesco – mi viene spontaneo. E‘ una questione di responsabilità. Amare come lui ci amato è il modo per continuare la sua opera: da questo tutti sapranno che siete miei discepoli. La sua missione è stata amare per salvarci; la nostra è amare per annunciare quell’amore operoso. 

Ci può aiutare una profonda pagina del non credente Albert Camus ne La Peste: 

Ecco: lei è capace di morire per un’idea, si vede ad occhio nudo. Ebbene io ne ho abbastanza delle persone che muoiono per un’idea. Non credo all’eroismo, so che è facile e ho imparato che era omicida. Quello che m’interessa è che si viva e che si muoia di quello che si ama».

Rieux aveva ascoltato il giornalista con attenzione. Senza cessare di guardarlo, gli disse piano: «L’uomo non è un’idea, Rambert».

L’altro saltava dal letto, col viso infiammato dalla passione. 

«E’ un’idea, e un’idea corta dal momento in cui ci distoglie dall’amore. E appunto noi non siamo più capaci d’amore. Rassegniamoci, dottore: aspettiamo di diventarlo e se veramente non è possibile aspettiamo la liberazione generale senza giocare agli eroi. Io, non vado più in là». 

Rocco D’Ambrosio [presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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