Politica o barbarie, scegliere di abitare la città, di Matteo Losapio

Socialismo o barbarie è un motto antico, ormai quasi dimenticato. Uno slogan che ha funzionato e ha percorso le strade delle città nel 1968, ma ancora prima è stato il nome di un movimento marxista libertario francese promosso da Cornelius Castoriadis e Claude Lefort, insieme ad una galassia di pensatori anti-leninisti e anti-autoritari. Ma, ancora prima, è uno dei libri più illuminanti di Rosa Luxemburg e precisi dal punto di vista dell’analisi della società capitalista fra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Un testo estremamente interessante per comprendere la relazione fra capitalismo e guerra, come anche per pensare il mondo in maniera differente. Socialismo o barbarie è un titolo/slogan che via via è andato sempre più spegnendosi con le rivendicazioni del ’68, eppure in questi giorni mi tornava in mente, con alcune leggere modifiche.

Mi tornava in mente soprattutto per la parola barbarie, legandola non alla dimensione del socialismo quanto, in maniera molto più ampia ad estesa alla dimensione politica. Se per Rosa Luxemburg, Cornelius Castoriadis e tanti altri autori, la scelta era fra il socialismo e la barbarie, oggi mi sembra che la scelta si sia maggiormente ampliata e approfondita tanto da porre una nuova dicotomia fra politica o barbarie. Una scelta che accade in questi giorni di profonda riflessione su molti eventi e vicende accadute a Barletta, la città in cui vivo. Stando solo alle notizie di questi ultimi giorni ci sono state: risse fuori dai locali della movida, investimenti di persone da parte di pirati della strada, un’aggressione con mazza da baseball in pieno centro e in pieno giorno, scritte nei bagni delle ragazze di una rinomata scuola inneggianti a Filippo Turetta e con un totale disprezzo per tutte le donne, omicidio di un giovane ritrovato semi carbonizzato, a distanza di tre anni da un altro corpo mai ritrovato, notizie riguardanti presunti abusi sessuali su minorenni.

Tante notizie che, per la loro essenza sensazionalista, innescano un meccanismo di rapido oblio. Una notizia viene soppiantata da un’altra pari se non più grave, sicuramente sensazionale. Un accavallarsi di notizie che creano due fenomeni: da una parte l’impossibilità di riflessione e dall’altra il senso di panico all’interno della città. Se a queste notizie aggiungiamo i continui atti vandalici, lo spaccio incessante di droga che si riversa per le strade con fuochi d’artificio a segnalarne l’arrivo, il furto e lo sventramento di automobili, i livelli d’allerta per l’inquinamento, i furti all’interno di scuole elementari e asili nido, come anche le esplosioni dei bancomat a scopo di rapina, come anche i suicidi noti o meno di adolescenti, respiriamo un costante clima di insicurezza e di panico. Non una semplice paura di attraversare degli spazi ma una sensazione di panico che deriva da un degrado in continua discesa e che sembra non trovare rimedio. Panico che consiste nel sentirsi sempre sull’orlo di una crisi che non ha fine, di un abisso in cui sprofondare. Un immobilismo che non dipende né dalla burocrazia né dalle istituzioni, ma dall’essere sul crinale fra politica o barbarie. Dove la barbarie non è lo straniero che non sa parlare la lingua del popolo civile, ma il degrado umano a cui siamo costantemente sottoposti, fino a cedere al panico del non poter far più nulla, del credere che la situazione sia irrimediabile. La barbarie non è l’arrivo dello straniero oltre i confini, ma lo sgretolarsi di una civiltà dal proprio interno, il sopraggiungere di una corruzione umana che porta ad un degrado individualista e solitario in cui la disintegrazione è sempre, in qualche modo, rimandata. Il panico è dato dal rimanere il nostro cadere nell’abisso, il posticipare un regime che vediamo ergersi all’orizzonte come sola risposta a tutto il nostro degrado.

Il panico è il cedere all’uomo forte, alla sorveglianza con la forza, alla delega delle proprie libertà a chi può risolvere, con un solo colpo di spugna, tutti i problemi. Il panico è la condizione di affaccio dinanzi alla barbarie, l’essere continuamente sull’orlo della disperazione in cui ognuno di noi si sente solo e impotente nell’affrontare tutte le questioni. Ed è qui che entra e rientra la politica. È qui che la scelta si concretizza fra la barbarie che richiede un uomo forte al comando e la politica che richiama al senso di comunità, al territorio, alla difesa della dignità umana e al diritto alla città. Scelta politica che non guarda alle istituzioni in attesa di un cambiamento dall’alto, ma che lavora tessendo reti, raccontando storie, pensando come costruire un mondo non solo migliore, ma almeno all’altezza della dignità umana.

Politica è scegliere, giorno per giorno, di vivere all’altezza della propria libertà, di riconoscere il bisogno e la possibilità di una città più umana, dove non sentirsi sempre in pericolo, sempre sul baratro della disperazione, sempre inerte e impotente dinanzi a ciò che avviene. Politica non è il legalismo di chi deve solo rispettare le regole ma di chi si organizza per creare delle regole migliori, per monitorare ciò che avviene in città, per attenzionare l’operato delle amministrazioni. Per riprendere la differenza che pone Cornelius Castoriadis fra società istituita frutto delle regole e delle leggi che troviamo e in cui siamo collocati e società istituente in cui la società si auto-organizza e si forma a seconda delle regole che si dà attraverso organizzazioni, collettivi, associazioni, reti e comunità. Oggi arrendersi alla società istituita significa cedere alla barbarie e al panico nelle città, pensare che le soluzioni possano venire solo e soltanto dall’alto, da un uomo forte o dall’eroe che tutti agogniamo e su cui scaricare le nostre responsabilità. Scegliere la società istituente significa vivere nel processo dinamico e sociale, nella consapevolezza che la società, le istituzioni, le regole, le prospettive e le idee le offriamo noi, in quanto cittadini, in quanto esseri politici. Ed è qui la scelta fra la politica o la barbarie.

Si tratta di ricominciare a pensare di poter vivere davvero in una città migliore, di meritare un luogo migliore senza essere costretti ad emigrare perché altri poteri e altri padroni pensano di poter gestire le nostre vite. Significa farsi carico di una libertà che inizia lì dove inizia quella dell’altro, di una libertà comunitaria, di una libertà possibile solo nelle comunità, nei territori e nelle città, soprattutto lì dove poteri altri cercano di decidere per noi. Oggi, in questa città in cui viviamo occorre ancora scegliere di abitare. Qui è inizia la scelta fondamentale fra la politica e la barbarie.

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Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.


 

 

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Redazione web: Vito CATALDO, Davide D’AIUTO (Responsabile DPO), Paolo IACOVELLI, Eleonora BELLINI, Matteo LOSAPIO. email: webmaster@cercasiunfine.it

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