Nel mito, Pandora, aprendo il vaso che non avrebbe dovuto aprire, fa fuoriuscire tutte le sciagure e i mali perché si abbattano sull’umanità. Solo Speranza, come in una casa indistruttibile, ci racconta Esiodo (Le opere e i giorni) non vola fuori, Pandora richiude in tempo il malefico vaso. Per volere di Zeus. Un tipo di vaso che non è un’invenzione di Esiodo, già nell’Iliade (XXIV) ne troviamo due sospesi agli stipiti della porta di Zeus: uno è colmo di beni e l’altro di mali. A ben guardare allora, nel vaso aperto da Pandora c’erano solo i mali? E allora perché c’era la Speranza? È forse un simbolo della radice della nostra duplicità umana, sempre in bilico tra sofferenza e felicità? La nostra fragilità e finitezza. È lì che si annida un seme di quella Spes contra Spem di cui parlerà San Paolo nella Lettera ai Romani? La speranza contro ogni speranza, che persiste contro ogni dubbio e che è d’aiuto anche a chi non ne ha. In greco elpís, aspettativa, può anche essere delusa. Una speranza che sembra contenere qualcosa del suo contrario, la dis-perazione. In latino è Spes, da cui deriva la nostra parola italiana e più vicina a quello che anche per noi rappresenta: un senso di aspirazione, fiducia e tensione verso una meta. Nel mondo romano veniva venerata, le dedicavano templi e a lei gli imperatori si rivolgevano perché fosse di buon auspicio nelle loro imprese.
Ma dipende da noi quale volto darle. La speranza è uno sguardo sull’esistenza, occorre alimentarlo, soprattutto quello dei giovani. E non è neppure vero che sia una prerogativa esclusivamente cristiana. Ci viene incontro una frase molto bella di Norberto Bobbio e spesso citata dal cardinale Martini: «la vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa».
Allora educhiamo i nostri giovani a pensare. Zeus, oltre che al vaso di Pandora, ha dato vita anche alle Muse, insieme a Mnemosyne, dea della memoria. Sono nove divinità protettrici delle arti, della scienza e della musica. I Greci ci dicono che la Bellezza è anch’essa un dono divino e se ci prendiamo l’impegno di insegnarla, i giovani sapranno riconoscerla e farne fonte di speranza: un futuro in cui ne saranno artefici. Mi ha colpita che Papa Francesco l’avesse definita la più piccola delle virtù ma la più potente, capace di modificare le dinamiche della nostra vita quotidiana. Una virtù saggia e visionaria, capace di farci sperare l’insperabile D’altro canto, sosteneva Eraclito, se l’uomo non spera l’insperabile, non lo troverà.
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