Le vittorie di Von der Leyen e Meloni alla prova della realtà, di Eugenio Fatigante

Ursula von der Leyen inizia la navigazione della sua seconda Commissione in acque perigliose. Rese tali dalla gestione complessa di un meccanismo che – è bene ricordarlo – è ben diverso dalle dinamiche dei governi nazionali. Il messaggio che la tedesca, confermata a Bruxelles con un voto risicato, non è riuscito a far passare è che la scelta del ruolo dato a Fitto voleva essere soprattutto un riconoscimento all’Italia come Paese fondatore più che un tentativo reale di allargare la maggioranza all’Ecr, punto su cui ha troppo insistito invece il suo connazionale Manfred Weber, ieri finito per questo sotto accusa.
A differenza di un premier nazionale, infatti, l’ex ministra di Angela Merkel Fitto se lo è trovato “già in casa”, per così dire, indicato dal governo Meloni; e non poteva certo relegarlo a un ruolo minore. Tanto più alla luce del forte legame costruito con la nostra premier dall’ottobre 2022 e della volontà di rimediare allo sgarbo di metà giugno, quando la leader di FdI era stata esclusa dai leader delle nazioni Ue nella prima cena informale sul “pacchetto-nomine”. Un trattamento che non poteva essere reiterato verso l’Italia.
È un difficile crinale (come si sapeva) quello che Von der Leyen ha dovuto attraversare, stretta tra la storica coalizione europeista Ppe, Pse e liberali e il crescente peso nazionale delle destre europee. Fra le quali, peraltro, quella di FdI si è segnalata come una delle più moderate (non sono i Patrioti) viste le virate dei Fratelli, passati rapidamente dai vagheggiamenti sull’uscita dall’euro a posizioni appunto più pro-Europa, pienamente atlantiste e talmente attente ai conti da meritarsi un giudizio positivo sulla manovra superiore a Germania e Olanda. Sforzi che VdL ha voluto riconoscere.

Ora il punto è capire quali politiche sviluppare nei prossimi 5 anni con una maggioranza così variabile: superate le forche caudine di questo voto, Ursula tornerà alle posizioni della prima legislatura 2019/24 o le contaminerà con una visione più nazional/sovranista, come in parte aveva già cominciato a fare?
Dal canto suo Meloni porta a casa un risultato che molti davano per insperato a giugno. Anche per lei si tratta però di capire se potrà avere un peso reale sulle scelte europee future. Per di più proprio mentre in Italia incassa un brusco passo falso della maggioranza, spaccatasi a 48 ore dal vertice tenuto a casa sua dalla premier. Segno che la sua capacità persuasiva non è più così forte.

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