Unanime e confortante è la solidarietà nei confronti di Sigfrido Ranucci. L’attentato che l’autore di Report ha subito poteva avere ben più gravi conseguenze. Questa volta è andata bene, ma spesso va male, molto male. Quando succede finisce poi che ce lo dimentichiamo in fretta. Il giornalismo d’inchiesta è un mestiere pericoloso e nel momento in cui lo si ritiene meno utile alla società, lo si sospetta di chissà quali secondi fini e lo si accusa di strumentalità politiche varie, lo diventa ancora di più. E quei giornalisti che fanno unicamente il loro mestiere, come Ranucci, per i quali si fatica anche a garantire una copertura legale, alla fine si ritrovano soli.
Il grave episodio della scorsa notte ci consente di mettere in chiaro alcune cose che frequentemente chiare non sono. Se le nostre fragili democrazie avranno un futuro sarà solo grazie a opinioni pubbliche correttamente informate, dotate di uno spirito critico e accompagnate costantemente da un sano dubbio su ciò che accade intorno a loro.
Questo avverrà grazie a coraggiose corrispondenze di guerra nelle quali gli inviati non vestiranno alcuna divisa. Avverrà in virtù di reportage nei vari teatri di violenze e conflitti con l’umiltà di capire cause e ragioni. Senza pregiudizi. Avverrà grazie alle inchieste sulle zone oscure della società perché solo la trasparenza è sinonimo di legalità e di giustizia. Senza riguardi per il potere nelle sue varie forme. Avverrà nel dare voce a chi non ce l’ha e nel porre domande scomode a chi di voce ne ha troppa e poca voglia di rispondere.
I giornalisti sbagliano? Sì come tutti. Ma raramente nelle altre professioni l’errore si trasforma di colpo nella prova di una colpevole parzialità. Oggi è il giorno in cui tutti lodano il giornalismo d’inchiesta che per sua natura è scomodo e persino irritante. Domani è un altro giorno e si vedrà.
https://www.corriere.it/frammenti-ferruccio-de-bortoli/25_ottobre_17/solidarieta-a-ranucci-ma-non-basta-61509353-b788-4bba-835c-7e300107exlk.shtml


