Sempre più digitale e circolare così sarà l’economia del futuro, di Carlo Ferro
Due megatrend caratterizzano l’evoluzione dell’economia globale: l’economia digitale, caratterizzata dalla capacità di elaborazione a basso costo di un enorme set di dati e supportata dalla quasi illimitata capacità di memoria sul cloud ; e l’economia circolare orientata alla sostenibilità sociale e ecologica delle filiere produttive. Passeggiando nel campus dell’Università di Stanford il giorno prima dello Us-Italy Innovation Forum pensavo a questi due trend come due stelle comete che si muovono velocemente, modificano il sistema e tendono a convergere. La fisica dello spazio ci insegna che la collisione fra due stelle genera nuove stelle o può creare buchi neri. Ecco, il tema dell’innovazione per l’economia italiana è quello di assicurarsi di poter brillare come leader nel nuovo ordine dell’economia “smart e sostenibile” piuttosto che scomparire nel buco nero “post industriale”.
Il Forum - organizzato da ministero degli Affari esteri, Ice-Agenzia, Confindustria e Università di Stanford - ha offerto una prospettiva di lungo respiro, dall’osservatorio privilegiato della Silicon Valley.
Si è discusso di come l’intelligenza artificiale trasformi la robotica: dalla corretta esecuzione di task programmati all’esecuzione del task corretto, grazie all’adattamento continuo delle specifiche da parte di learning machine. Si è collegata la robotica alla medicina con le applicazioni di micro-macchine impiantabili nel corpo umano. E si è vista l’altra prospettiva, quella della medicina rigenerativa.
Si è guardato allo spazio oltre le barriere di costo abbattute dall’effetto combinato del riuso dei rocket e della miniaturizzazione dei satelliti. Il fascino del turismo spaziale, ma anche la prosa dei cube-sat, micro cubi a moduli da 10 cm per lato con grandi capacità di trasmissione e elaborazione. È all’orizzonte una nuova costellazione artificiale come infrastruttura di comunicazioni e servizi.
Si è parlato anche di etica dell’innovazione e della necessità di controllare le esternalità negative delle tecnologie sulla società, in parallelo allo sviluppo della tecnologia stessa, piuttosto che rimediare successivamente a danni collaterali. Ha fatto piacere che proprio partecipanti americani abbiano ricordato l’umanesimo rinascimentale come guida a un approccio human-centered allo sviluppo delle società.
Certo la partecipazione dell’ecosistema ricerca-impresa italiano e la qualità dei contributi di accademici italiani che operano nella Silicon Valley non lasciano dubbi sulla cultura scientifica, le competenze, il talento e l’imprenditorialità nazionali. Tuttavia è anche evidente il gap fra due sistemi, quello californiano e quello italiano, profondamente diversi nella capacità di attrarre innovazione, di finanziare le idee, di generare tecnologia e di tradurla in benessere socio-economico diffuso.
Le startup sono al centro dell’innovazione industriale perché ogni impresa corre oggi sulle proprie gambe se è riuscita ieri a gattonare. Le startup per tradurre tecnologia in un business model (incubare), per reggersi in piedi (consolidare) e iniziare a crescere (scalare) devono trovare l’ecosistema di riferimento appropriato. Ci si chiede: cosa manca in Italia? Mi è capitato di confrontarmi coi modelli di alcuni grandi incubatori della Silicon Valley e risponderei:
1 non mancano i capitali, ma un venture capital che sappia rischiare capitali, con regole di mercato, valutando progetti tecnologici oltre il conservatorismo dei family office e i parametri di credito delle banche commerciali;
2 non è diffusa, salvo poche eccezioni, la capacità finanziaria delle università, per lo più soggette alle regole della pubblica amministrazione, di investire nell’industrializzazione dei risultati della ricerca;
3 manca la scala, sia nella taglia degli incubatori sia nella ricerca, frammentata in identità accademiche o regionali o nella miope difesa di piccole rendite di posizione;
4 restano infine, la cultura e le norme che lasciano le stigmate del “fallimento” sull’imprenditore che ha tentato senza successo una nuova avventura.
Ci sono tuttavia in Italia altrettanti fattori abilitanti il successo: la qualità dei ricercatori e scienziati italiani, in patria o all’estero; l’ecosistema di grandi e medie imprese che fertilizza le filiere nella seconda economia manifatturiera d’Europa; l’imprenditorialità di un Paese di 4 milioni di Pmi; una struttura di costo dove un ingegnere o un programmatore software costa fra un terzo e un quarto dell’equivalente americano e dove, da qualche anno, norme fiscali incentivano gli investimenti in startup.
Per queste ragioni mi piace pensare che dalla convergenza tra economia digitale ed economia circolare nasceranno in Italia nuove stelle. E la presenza del presidente Sergio Mattarella al forum di Stanford segna l’importanza di vincere questa sfida per il sistema-Paese e per i giovani.
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