Priebke e il funerale cattolico, di Nina Fabrizio
Esequie private non si negano, specie a peccatore induriti.
(ANSA) ROMA
"Il canone 1184 al punto 3 dice che devono essere negate le esequie ai peccatori manifesti per i quali le esequie sarebbero di pubblico scandalo. Ma la preghiera per i peccatori, vivi o defunti che siano, non si nega, anzi, è maggiormente necessaria quanto più si tratta di peccatori induriti. Le regole sono importanti, ma la vita è più complessa: non spetta certo a noi condannare, e il giudizio lo dà Dio solo". E' quanto spiega all'ANSA, padre Ottavio de Bertolis, docente di diritto canonico alla pontificia università Gregoriana a proposito della questione dei funerali di Erich Priebke
, il criminale nazista tra i pianificatori e gli esecutori della strage delle Fosse Ardeatine, morto ieri a Roma.
Funerali su cui è già comunque intervenuto il Vicariato che ha giurisdizione sulle chiese della Capitale, spiegando che non sono "previste celebrazioni esequiali in una chiesa di Roma". De Bertolis, da parte sua, chiarisce come vada interpretato il diritto canonico in cui è compresa la materia delle esequie ecclesiastiche: "Il diritto - afferma De Bertolis - non spiega tutte le cose, e le regole vanno applicate in modo umano, quell'umanità che Priebke
stesso ha rinnegato; questo è ciò che si chiama tecnicamente "equità canonica", che è poi uno dei criteri interpretativi del diritto canonico stesso. Naturalmente questo non vuol dire che a un funerale si debbano attribuire altri significati che quello di un gesto religioso - precisa -, e per questo le modalità esterna della celebrazione (luoghi, tempi, persone ammesse) devono essere consone. Il silenzio e il nascondimento mi paiono molto opportuni: spetta all'Autorità ecclesiastica poi decidere nel caso concreto".
"La Chiesa - spiega comunque il canonista - intercede per tutti e in questo modo ripropone le parole stesse di Cristo: "Padre, perdona perché non sanno quello che fanno". Nella vicenda di Priebke
si rivela il mistero dell'iniquità e del male, non solo nel ventesimo secolo, ma di quello stesso che si può annidare in noi, la sua "banalità", come è stato detto.
Proprio la necessità di non dimenticare deve fare riflettere su questa realtà in modo maturo. Enzo Biagi - ricorda De Bertolis - in un suo libro, dice di un altro gerarca nazista, Erwin Rommel: "Attende, sotto una croce di legno, l'ultimo giudizio: il solo che conta".
(ANSA).