Noi buoni e voi cattivi, ma di chi parliamo?, di Angela Donatella Rega
Inutile dirlo. I buoni siamo noi, i cattivi sono gli altri. Un assioma di semplicissima applicazione. Potremmo chiudere qui il discorso se non ci fosse una profonda crisi di identità nella società attuale per cui, improvvisamente, siamo costretti ad impersonare i buoni dalla stessa parte che era degli altri, cioè dei cattivi, fino a poco tempo fa. Un dilemma che nasce dal revisionismo storico promosso da varie fonti, non tutte disinteressate.
Inoltre una giungla di informazioni contrastanti, in parte inconfutabili, in parte assolutamente menzognere viene talvolta anche da una stessa fonte, confondendoci e facendo di noi dei confusi followers. In pratica il più delle volte decidiamo a chi ed a cosa credere e poi seguiamo quella fonte, anche fosse traballante nelle sue garanzie, ma la seguiamo con fiducia.
L’affiliazione fiduciosa, però, lentamente, porta ad aderire ad ipotesi molto ardite che pare vadano bene ai più, purché non si tratti di informazioni del mainstream.
Ma il mainstream cos’è? È, secondo questa parte arguta e libera della società, in sostanza, quello che pensano gli altri, i cattivi, quelli che hanno torto o semplicemente gli stupidi, quello è il mainstream. Inutile dimostrare che ci rifletti sulle informazioni, da qualsiasi fonte provengano, gli obiettori di ciò che secondo loro è il mainstream, pensano di essere smart, di saper sempre trovare le fonti giuste da cui trarre informazioni. Ecco come noi, proprio noi, possiamo trovarci, anche non volendo, dalla parte dei cattivi e gli altri invece dalla parte dei buoni.
In tutto questo intorbidire di acque non possiamo fare a meno di constatare, però, che chi materialmente soccombe, mentre tutti noi ci dividiamo fra pro e contro qualsiasi cosa, sono sempre i poveri o anche coloro che avrebbero bisogno di esigere il diritto al lavoro, alla salute, alla sicurezza alimentare, alla vita, o, nei regimi dittatoriali, alla libertà di parola e di opinione e alla libertà di culto.
Poiché nessuno Stato riesce più a garantire tutti questi diritti insieme, e le strade per una sana politica sembrano essere momentaneamente precluse dagli interessi privati, sta succedendo nel popolo, sempre meno speranzoso, quello che succedeva tra gli schiavi d’America. Un affidamento alla fede, che, guarda caso, sta diventando la vera rivoluzione di questo secolo, molto anche per merito di Papa Francesco che ha lavorato e sta lavorando alacremente per la pace e per la giustizia cercando di mettere d’accordo tutti gli estremi opposti, politici e religiosi.
Questa della pace universale appare con evidenza l’unica cosa sensata che si possa fare per salvare il pianeta con tutti i suoi abitanti. E la condanna della violenza, di qualsiasi origine e forma, sembrerebbe mettere d’accordo tutti i popoli. Ma, c’è un ma, ecco infatti comparire il fenomeno che nei periodi di fragilità della gente si riaffaccia, il classico GOTT MIT UNS. Se vi affidate a Dio, affidatevi a noi (ecco un altro “noi” che reclama ragione), perché Dio è con noi. E perché è con noi (cioè con il potente di turno)? Perché noi, dicono, combattiamo il male, non con mezzi spirituali, non con la conversione dei cuori, quella è roba da Gesù, no, noi lo facciamo con la forza, forse anche con la guerra!
In pratica i potenti ed i politici che sbandierano l’adesione a Cristo lo fanno senza pudore, dichiarando nei fatti, bisogna dirlo, che Cristo fosse un incompetente, perché Lui non usava la forza, non il carcere, non la condanna ma il perdono e l’accoglienza, né incitava alla violenza i suoi seguaci.
Un vero paradosso.
Come risolvono, i cristiani, questo dilemma? Lascio la domanda aperta, ma mi chiedo come si faccia a conciliare una visione apparentemente confessionale dello Stato con l’evidente laicità e anzi, opposizione al Vangelo, delle decisioni di questi statisti che si ergono a difensori della fede.
Invece sappiamo bene che il mondo nuovo nascerà dalla pace, lo dicevamo sopra, e sarebbe una bella idea cominciare da subito questo parto.
Converrebbe a tutti. Ma siamo ancora lontani dal capirlo.