Mattarella, i doveri di un Presidente, di Elisa Chiari
Formalmente, le parole che ha pronunciato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al termine del mandato esplorativo affidato al presidente della Camera Roberto Fico, sono una “dichiarazione”, rivolta alle Camere, che in conclusione Mattarella muta in un appello «a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, perché conferiscano la fiducia a un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica».
Nell’aplomb consueto, la voce tradisce un filo di tensione: anche da quello si capisce che quelle 735 parole sono anche un discorso alla Nazione. Nello stile di Sergio Mattarella: frasi brevissime, due/tre righe al massimo intervallate da punti fermi, al limite i due punti a sottolineare un’esigenza chiarificatrice. Nessuna parola difficile, nessuna involuzione, quasi zero subordinate: farsi capire prima di tutto. Colpisce, in questa dichiarazione, il ricorrere della parola “dovere”, presa in prima persona su di sé: premesso che «Dalle consultazioni al Quirinale era emersa, come unica possibilità di governo a base politica, quella della maggioranza che sosteneva il Governo precedente».
Dopo avere dato conto dell’esito negativo della verifica, il Presidente ha descritto il bivio davanti a sé: nuovo Governo adeguato alle emergenze presenti «sanitaria, sociale, economica, finaziaria». Oppure elezioni anticipate. Entrambe le opzioni sono presentate con il requisito dell’immediatezza. «Questa seconda strada (le elezioni ndr)», sottolinea Mattarella, «va attentamente considerata, perché le elezioni rappresentano un esercizio di democrazia».
È qui però che il presidente comincia quella sequenza insistita di «ho il dovere», alternato di «va considerata», «devono», «va presentato» etc. dove quel «va» usato come ausiliare davanti al participio passato vale un «si deve» e indica ancora una volta giustappunto il dovere: è una strada quella che indica il presidente, tracciata dallo stato di necessità e dal bisogno di fare presto e di non perdere tempo in un’emergenza, quella pandemica con le sue conseguenze sanitarie, sociali economiche, che richiede tempestività e concretezza di decisioni.
Non a caso il fattore tempo è il secondo elemento ricorrente del discorso, assieme a quello del dovere di cui il presidente indica però di assumersi la responsabilità ogni volta che pronuncia in prima persona quella formula: «ho il dovere», «avverto il dovere», che sembra indicare l’esatto contrario dell’intenzione di nascondersi dietro quello stato di necessità.
«Immediatamente», «immediate», «tempestivi», «data di scadenza», «tempestivamente» sono parole che ricorrono nel breve testo con l’insistenza di un orologio che corre e che lo convincono a convocare con urgenza Mario Draghi al Quirinale. L’esigenza di portare avanti la campagna di vaccinazione, di rispondere alle scadenze per l’ottenimento dei fondi europei per far fronte alla crisi economica e alla crisi del lavoro che dal 31 marzo, allo scadere del blocco dei licenziamenti, spiega il presidente, è una sfida incompatibile con una classe politica in campagna elettorale e con un Governo non nel pieno delle funzioni.
Non c’è tempo, ripete il presidente.
Non dice, ma fa capire, che considera irresponsabile il temporeggiare in questioni di poco momento mentre l’emergenza incombe, se non è una tirata d’orecchie alla politica, è solo per il garbo che ne mitiga la forma. E quando esplora in pubblico l’eventualità di elezioni anticipate, Mattarella trova il tempo in dieci righe di far riemergere il suo primo lavoro di professore di diritto parlamentare: con grande agilità e semplicità scandisce, spiegando soprattutto agli italiani perché si presume che la politica le conosca, le scadenze imposte dal calendario delle istituzioni, dimostrando che i tempi tecnici per la formazione di un nuovo Governo in uscita dalla tornata elettorale richiederebbero quattro/cinque mesi di Governo senza pienezza delle funzioni. Mentre non aspettano né il virus che ascolta solo i propri tempi dettati dalla natura, né i fondi europei, che hanno scadenze tassative, che precedono di parecchio quei quattro-cinque mesi.
Non è il primo momento critico che Sergio Mattarella affronta da presidente: lo sono stati certo la formazione accidentata e lunga del primo governo Conte sostenuto da Lega e M5S; lo è stato nella primavera del 2019 l’emergere dello scandalo del caso Palamara e della conseguente crisi di credibilità della magistratura e del Consiglio superiore di cui il presidente della Repubblica è presidente; lo è questo momento in cui la politica non ha trovato la strada per risolvere una crisi di Governo nel pieno della più grave emergenza mondiale che la storia della Repubblica ricordi. Lo stile di Mattarella resta però sempre lo stesso: spiegazioni chiare, frasi brevi, e consapevolezza del perimetro in cui può muoversi il ruolo, che i costituzionalisti chiamano «a fisarmonica», che la Carta gli assegna.
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