Il futuro del mondo post-Covid-19: pandemie infodemiche e intossicazioni ambientali perenni, di Emanuel Pietrobon
Dalla rete alle strade
Il 10 giugno dell'anno scorso la Commissione Europea accusava ufficialmente Russia e Cina di essere dietro la circolazione massiva di bufale (fake news) sul Covid19.1 Nello specifico, agli operatori della disinformazione delle due nazioni venivano imputate azioni tese a promuovere le rispettive narrazioni sulla pandemia, a distorcere la realtà, o a riscriverla ex novo, e a minare le fondamenta delle società liberal-democratiche. Al Cremlino, inoltre, veniva addebitata la grave responsabilità di aver diffuso contenuti (dis)informativi e teorie cospirative aventi l'obiettivo di abbassare a livelli critici la fiducia degli abitanti dei 27 nei vaccini.
Addebiti che, naturalmente, Russia e Cina avevano rispedito al mittente. Le squadre dell'Unione Europea adibite al monitoraggio della disinformazione erano dell'idea che la Russia, a mezzo della diffusione continua e costante di semi-verità, post-verità e bufale, avesse voluto confondere deliberatamente il pubblico comunitario – perché la confusione è l'anticamera della polarizzazione, e quest'ultima è il cibo che nutre l'instabilità. Urgono studi tesi a capire se sussista una correlazione tra quella che potremmo ribattezzare una "pandemia infodemica" (vale a dire una circolazione incessante di bufale nell'ambito di una pluralità di guerre informative, psicologiche e cognitive aventi luogo simultaneamente) e l'esplosione del malcontento per le strade delle grandi città europee, Italia inclusa, e se la stessa abbia avuto una reale influenza sull'emergere di opinioni e sentimenti anti-vaccino.
La storia suggerisce tale collegamento, perché le intossicazioni ambientali e le operazioni psicologiche hanno il potere di dividere la società, anche le più coese, in blocchi separati, contrapposti e non comunicanti, che al dialogo preferiscono lo scontro. L'esempio più lampante è il Cile di Salvador Allende, ma, senza andare a ritroso nel tempo, si trovano casi-studio altrettanto solidi e convincenti persino negli Stati Uniti – il movimento Qanon. La confusione ha alimentato lo spaesamento, che a sua volta ha galvanizzato il malcontento per le ordinanze antipandemiche più restrittive, specialmente in quei Paesi dove si è optato per delle politiche di chiusura totale o quasi (i celebri lockdown). I moti, a volte estemporanei e circoscritti e altre volte durevoli ed estesi, sono stati organizzati attraverso le grandi piattaforme sociali e i servizi di messaggistica istantanea. In alcuni casi, come Torino lo scorso ottobre, l'intervento delle forze dell'ordine si è rivelato tardivo perché i rivoltosi hanno saputo mantenere il riserbo fino al momento dell'azione e hanno agito subitaneamente, conducendo operazioni mordi e fuggi in zone mirate e predeterminate.
Di nuovo, non è dato sapere se esista una connessione diretta tra le rivolte e la disinformazione; ciò che è innegabile, però, è che quest'ultima sia presente, tangibile, pervasiva e capillare, quindi perniciosa. Ultimo ma non meno importante, le nuove generazioni hanno meno fiducia nella stampa tradizionale e di massa e nella televisione, prediligono l'informazione acquisita sui canali alternativi e dai loro modelli di riferimento (influencer) e utilizzano, più di ogni altra fascia anagrafica, i servizi di messaggistica istantanea e le piattaforme sociali. Sono le nuove generazioni, e i dati emersi dagli arresti – dall'Italia alla Germania – lo dimostrano, le grandi protagoniste della stagione di instabilità che ha avvolto l'Europa ed è a loro, perciò, che dovrebbe mirare un'efficiente ed efficace strategia anti-disinformativa. L'alternativa, altrimenti, è la caduta dei giovani italiani (ed europei), ovverosia il futuro, in un clima di perenne volubilità e volatilità ad uso e consumo di attori terzi.
Cogliere la transizione
Il futuro dell'informazione, quindi anche della disinformazione e della misinformazione, è nell'Internet destrutturato, parcellizzato e polverizzato. Non si tratta di controllare canali dall'alto al basso, ma di avere a che fare con una trasversalità integrale fondata sull'assenza di gerarchia e di un corpo definito: influencer, blog, gruppi di messaggistica, gruppi sulle piattaforme sociali, siti, giornali, portali, canali video. La chiusura di uno di questi non contribuisce alla risoluzione alla problema perché non esiste una radice comune: è un albero tentacolare e autorigenerante, dalle fattezze di un Idra, che si regge su mille radici dalle proprietà salamandriche. La chiusura di un blog o di un gruppo di comunicazione è un palliativo, non la cura, così come è un palliativo l'affidamento ai media tradizionali – elevati al rango di poliziotti ufficiali contro le bufale, spesso in combutta coi governi – che, come abbiamo visto, non godono di eccessiva popolarità presso il pubblico più giovane (e non solo). Per questi motivi, e per altri ancora, l’Unione Europea fatica a rispondere con efficacia alle campagne disinformative partorite dall'estero ed è altamente probabile che nel prossimo futuro continuerà ad essere ostaggio delle pandemie infodemiche basate sulle intossicazioni ambientali perenni. Il problema non può essere risolto del tutto, perché trattasi di una minaccia puramente descheletrizzata e deterritorializzata, ma può essere senza dubbio affrontato e ridotto di pericolosità. Urgono strategie multidimensionali, che tocchino la realtà fisica e immateriale, e ripensamenti a trecentosessanta gradi del modo di fare e concepire le guerre della contemporaneità. In sintesi, si tratta di (saper) cogliere la transizione.
L'epoca dell'informazione monopolizzata da televisione e grande stampa è terminata, così come è venuto meno il controllo delle istituzioni sociali tradizionali – come famiglie e scuole – sui cittadini, oggi più che mai individualizzati e individualisti, ergo largamente esposti alle operazioni psicologiche e quindi suscettibili di divenire burattini inconsapevoli di terzi. Le società del futuro, almeno nel cosiddetto Occidente, saranno totalmente fluide, perciò occorrono strategie altrettanto malleabili.
Conclusioni
Il malcontento può essere levigato e mitigato a mezzo di piani d'azione contro la disinformazione, ma è sottinteso che gli stati debbano anche premurarsi di lavorare alle cause originarie del malcontento. Perché gli agenti della disinformazione non creano il malcontento dal nulla – semplicemente ed egregiamente lo sfruttano, alimentano e strumentalizzano –; esso esiste già e ha cause, spesso, di origine sociale ed economica. Strategia multidimensionale significa combattere la disinformazione e simultaneamente lavorare alla creazione di una società basata sull'equità, sulla conoscenza, sulla giustizia e sulla concordia sociale. Dove mancano questi quattro elementi, o uno solo di essi, lì può intervenire il disinformatore. Venendo alla disinformazione stricto sensu, la polverizzazione della stampa rende obbligatorio una rimodulazione delle attività investigative, di controllo e censura sull'intera rete: canali di messaggistica istantanea, piattaforme sociali, media sociali, blog, siti web.
Particolare attenzione deve essere posta ai cosiddetti influenzatori, personaggi che, apparentemente innocui, possono esercitare un impatto tremendamente elevato sulla società in ragione del seguito popolare di cui godono – dalle decine di migliaia ai milioni di seguaci – e non deve sorprendere che il governo Conte II abbia tentato di fare leva su alcuni di essi per sensibilizzare la popolazione sul distanziamento sociale. Gli influencer sono generatori di opinioni il cui ruolo è destinato ad aumentare progressivamente negli anni a venire e, molto più spesso di quanto si creda, hanno delle agende e dei promotori alle spalle, ragion per cui è fondamentale attenzionare coloro che presentano i contenuti più politici, antisistema e ribellisti.
A volte potrebbero essere personalità completamente autonome, ma altre volte potrebbero essere la longa manus di attori terzi, come forze politiche domestiche od esterne. Inoltre, essendosi l'informazione trasferita sulle piattaforme sociali, specialmente Facebook, urge lo stabilimento di collaborazioni regolari e su basi permanenti con l'azienda ai fini del controllo dei contenuti, del tracciamento dei profili rei, del recupero della messaggistica e del monitoraggio dei raggruppamenti virtuali potenzialmente incitatori all'arresto civile.
È compito del governo, poi, la formulazione di leggi ad hoc in materia di libertà d'informazione ai tempi delle pandemie infodemiche che prevedano l'esercizio di maggiore controllo, censura, e possibilmente chiusura, di tutti quelle fonti di informazione – ivi incluse quelle straniere – ree di pubblicare contenuti apertamente e volutamente ambigui, disinformanti, misinformanti e divisivi. Agire in maniera preventiva, colpendo simultaneamente i luoghi di incontro virtuali e le loro fonti di informazione, sullo sfondo della sorveglianza accurata della realtà dei nuovi generatori di idee e opinioni, ridurrebbe drasticherebbe la portata e l'estensione delle campagne disinformative nel nostro Paese con il risultato complessivo di scoraggiare i loro registi.
https://www.vision-gt.eu/wp-content/uploads/2021/09/AD_28_2021.pdf