Il cattivo gergo dei tecnici, di Luigi Galella
I discorsi ben formulati rispettano la sensibilità degli interlocutori e capiscono il contesto: l’errore della Fornero e di Monti è non farlo mai.
La retorica dell’antipopulismo, di nobile ascendenza, può agire con chi la usa. Beffarda, può ritorcersi contro l’oratore improvvido, che tenta inconsciamente di ripetere le felici formule del passato, con impacciata parafrasi. Il modello storico illustre è nell’antimetàtesi kenedyana : “Non domandatevi che cosa l’America possa fare per voi, ma ciò che voi potete fare per l’America”. Kennedy – fra i più grandi oratori politici del Novecento – fu acclamato e non dileggiato per questo. Incitava gli americani a dare più che a chiedere, ma parlava al cuore di ogni cittadino. Non blandiva il popolo, al contrario lo esortava a farsi parte attiva della sua fortuna e della sua libertà. Non solleticava gli istinti facili, ma risvegliava l’orgoglio.
Uno strumento, il linguaggio, che va maneggiato con cura. Perfino il sergente che si rivolge alla truppa per strigliarla: “Svegliatevi, branco di nullafacenti!” può irritare o irretire, dipende molto da quanta autorità possiede e da come vengono percepite le sue parole. Steve Jobs urlò: “Siate affamati, siate folli!” intendeva: siete sazi e troppo razionali e non riuscite a proiettarvi con sufficiente curiosità verso l’ignoto che vi attende. Non era il riconoscimento di una qualità, ma di una mancanza. Anche lo slogan di Grillo “Votate per voi” va in questa direzione. L’apparente ossimoro non indica qualcosa che si promette, ma che si chiede all’altro. Come dire: non siate pigri, non delegate impegno e responsabilità. Liberatevi dalla condizione di minorità, siate adulti: “sapere aude”, come sollecitazione di un risveglio interiore: rinvenimento di una luce smarrita, attraverso la sottolineatura implicita della sua assenza.
Ma giunge infine la neofita, il parvenu della parola. Colui che ha recepito il messaggio di rivolgersi all’uditorio per sedurlo con lo schiaffo, ma si dimostra incapace di riformularlo e riesce al massimo a dire “choosy”. Come Elsa Fornero, che parla a bocca stretta, col sussiego di chi frequenta fluently la lingua inglese. Schiaffeggiare i giovani dicendo che sono schizzinosi può avere un senso, se si riesce a esprimere l’offesa come un’esortazione positiva alla responsabilità. Ma occorre conoscere gli uomini e la loro sensibilità per saperne pizzicare le corde giuste, tenendo a bada la rabbia. Gli stessi concetti, espressi con formule diverse, diventano pietre o confetti. E anziché frustare positivamente gli animi depressi, possono frustarli e fiaccarli ulteriormente. I nostri politici-professori hanno della lingua una conoscenza povera e ne fanno un uso sciatto e infelice. Non guasterebbe sfogliare un manuale i retorica e ripassare un po’ di storia e letteratura. Il ministro Corrado Clini che arditamente cita Galileo – esitando nel collocarlo temporalmente – compara il processo e la condanna che subì lo scienziato pisano alla sentenza con cui vengono giudicati colpevoli i tecnici della Commissione Grandi Rischi, che hanno malinformato la popolazione aquilana. Il filosofo Massimo Cacciari lo bacchetta severo: “Una colossale scemenza”.
Si dira’ :sono dei tecnici, non dei professionisti della comunicazione. Vanno perdonati se straparlano di “paccate” di miliardi (Fornero), e di “monotonia del posto fisso” (Mario Monti) o se a turno discettano dei giovani come degli “sfigati” (Michael Martone), dei choosy e dei “mammoni” (Anna Maria Cancellieri). Non si contano più le gaffes dei professori al governo. E molte riguardano le loro stesse competenze “tecniche”. La più stravagante, non si sa se un refuso o un lapsus freudiano, lambisce Profumo. Sul sito del Ministero dell’Istruzione il progetto dell’Università di Firenze “Dalla pecora al pecorino” nella traduzione inglese diventava: “From sheep to Doggy Style”. Peccato però che “doggy style” nella lingua di Shakespeare non sia un formaggio, ma una nota posizione erotica. Tornare a scuola a ripassare i testi di tanto in tanto fa bene a tutti: ma non necessariamente in cattedra. Sui banchi, qualche volta.
Fonte: “il Fatto Quotidiano”, 21 novembre 2012