Giovanni Moro: Contro il non profit, di Riccardo Grozio
Ha provocato un vero e proprio terremoto nell' establishment del Terzo Settore, mettendone in discussione ruolo ed identità. Pubblicato nel 2014, purtroppo, si è rivelato addirittura profetico rispetto ad alcune degenerazioni "sistemiche" balzate quest'anno agli onori della cronaca. Si tratta, naturalmente, dell'ormai citatissimo saggio "Contro il Non Profit", edito da Laterza. Di questo libro, nonché del Terzo settore italiano, parliamo con l'autore: Giovanni Moro, sociologo politico (Università di Roma Tre), per anni segretario generale di Cittadinanza Attiva e dal 2001 presidente di Fondaca.
Professore, che impressione ha avuto nel corso delle numerose presentazioni (ad oggi quasi una cinquantina) effettuate un po' in tutta la penisola? Quale è stata la reazione del mondo del Non Profit?
"Positiva, al di là delle aspettative. Io, piuttosto, temevo la congiura del silenzio, invece, per fortuna, ho registrato ovunque curiosità e interesse per le tematiche trattate nel libro. In molti casi sono stati gli stessi Csv o singole organizzazioni del Terzo Settore a promuovere la presentazione."
Dopo una serie di libri scandalistici sul Non Profit, questo è il primo lavoro scientifico che ne mette in discussione l'aspetto concettuale e definitorio, denunciandone altresì gli impliciti rischi di comportamenti devianti. Perché non lo ha scritto prima, quando si stava consolidando nel nostro Paese la narrazione forte di un Terzo settore quasi investito di compiti palingenetici?
"L'idea del libro nasce a Padova nel 2009, quando, prendendo alla lettera una battuta, il collega Marco Almagisti titolò una mia lezione "Contro il non profit: nodi teorici e ambiguità pratiche". Come ho illustrato nel capitolo iniziale, il Non Profit è una categoria economico-statistica nata a metà anni Novanta negli Stati Uniti e da lì diffusa in tutte le contabilità nazionali. Una definizione "in negativo" che non dice nulla dell'oggetto che vorrebbe descrivere. C'è poi il problema dell'alone di benemerenza che conduce inevitabilmente ad un effetto boomerang, laddove il comportamento criminale di una organizzazione getta discredito sull'intero settore."
Dalla sua riflessione si evidenzia la contrapposizione fra un non profit disomogeneo e farraginoso ed una "cittadinanza attiva" più coerente e determinata. Come definirebbe quest'ultima?
"Preferibilmente parlerei di "attivismo civico", della realtà di 100.000 organizzazioni che in Italia si occupano di tutela di diritti, cura di beni comuni e sostegno a soggetti in difficoltà, organizzazioni che operano nelle politiche, non nella politica. Nuove forme di partecipazione : cittadini che si organizzano con un ruolo di responsabilità nelle politiche pubbliche."
Venendo all'attualità, come giudica la Riforma del Terzo Settore, la cui discussione in Commissione al Senato ha subito l'ennesimo rinvio?
"L'impressione è che questa Riforma sia la risultante di una lottizzazione di interessi e punti di vista: la spinta verso l'imprenditorialità sociale, la voglia di iperregolamentazione, l'affermarsi di un sistema semicorporativo, del tipo "Confindustria del Terzo Settore". Ci sono, nel primo articolo, degli spiragli positivi, anche se, in generale, penso che i problemi non si risolvano con le leggi. Basti pensare al caso eclatante delle slot machines negli oratori..."
In conclusione, è proprio "tutto da rifare" il non profit italiano?
"Naturalmente no, ci sono, indipendentemente dalla forma giuridica, numerosissime organizzazioni che mettono al centro del proprio operare i beneficiari. Ciò che è importante è correlare sempre le attività, che pure hanno uno specifico peso economico, al "bene generale", evitando la mercatizzazione."
fonte: http://www.ligurianonprofit.it/index.php/terzo-settore/359-intervista-a-giovanni-moro#sthash.1ZLGax17.dpuf