Fratelli o schiavi? Una modernità fondata sull’economia e sulla paura dell’altro, di Francesco Del Pizzo
«Non più schiavi, ma fratelli» è il tema su cui Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa di riflettere per la giornata mondiale della pace che si svolgerà il 1° gennaio 2015 e che riprendiamo in occasione, il 21 settembre, della giornata della pace indetta dall’Onu. La fratellanza, bussola della pace, si contrappone alla schiavitù logicamente e semanticamente.
In un linguaggio cristiano, ma anche civile e socio-politico, che significa essere fratelli in un mondo che sembra vivere, dice il Papa, una «terza guerra mondiale a pezzi»?
L’uomo contemporaneo deve riconsiderarsi e rivalutarsi fratello e non oppressore, poiché beato è colui che riconosce nell’altro la comune dignità dei figli di Dio. O si è fratelli o schiavi: se non si riconosce tale dignità, si può essere facilmente schiavi di se stessi, schiavi del proprio io, immaginando una libertà illusoria e inesistente, che non lascia termini di confronto se non con se stessi e rende gli altri addirittura merce da usare e gettare.
Francesco ci fa riconsiderare un termine che, forse, può sembrare desueto a chi, soprattutto in Occidente, si è lasciato assuefare alla logica, per dirla con Baumann, del laissez-faire globale, che ha prodotto povertà e disuguaglianza.
La schiavitù, forse moderna in alcune forme, in quanto espressione della tecnocrazia, resta nei contenuti essenzialmente da definirsi a partire dal livello giuridico, in cui si configura come la condizione di chi è, appunto, considerato proprietà privata, privo di ogni diritto umano e completamente soggiogato alla volontà e all’arbitrio altrui (cosa, non persona).
In tal modo la necessità dell’affermazione della propria libertà si trasforma
in privazione di quella altrui e, ancora, la libertà diviene sinonimo di potere e opulenza.
La questione, dunque, non è semplicemente teologica o pastorale: la schiavitù, in senso lato, diviene un sistema sociale e pone l’accento sulla dimensione sociogiuridica oltre che socio-economica. Ci si muove, cioè, tra la riconsiderazione, la riconcettualizzazione del termine in riferimento ai diritti della persona e le particolari forme di sfruttamento del lavoro.
È significativo quanto affermava il Papa già nel discorso del 24 maggio ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti: «La Chiesa rinnova oggi il suo forte appello affinché siano sempre tutelate la dignità e la centralità di ogni persona, nel rispetto dei diritti fondamentali, come sottolinea la sua Dottrina Sociale, diritti che chiede siano estesi realmente là dove non sono riconosciuti a milioni di uomini e donne in ogni Continente. In un mondo in cui si parla molto di diritti, quante volte viene di fatto calpestata la dignità umana! In un mondo dove si parla tanto di diritti sembra che l’unico ad averli sia il denaro. Cari fratelli e sorelle, noi viviamo in un mondo dove comanda il denaro. Noi viviamo in un mondo, in una cultura dove regna il feticismo dei soldi».
Parlare di schiavitù e fratellanza è andare, dunque, al cuore del magistero sociale, che ha il suo fondamento proprio nella dignità della persona, oltre che nella solidarietà tra gli uomini e tra i popoli, così come, tra l’altro, già sottolineava la Scuola neotomista napoletana del secondo Ottocento, con uno dei suoi massimi esponenti ed esperti di scienze sociali, monsignor Salvatore Talamo. Stretto collaboratore di Leone XIII e ispiratore della Aeterni Patris, Talamo nella «Rivista Internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie», da lui diretta, assieme a Giuseppe Toniolo, dedicò alcuni articoli proprio alla schiavitù. Per il filosofo napoletano, il termine è rievocativo e compendia l’intera storia della salvezza, letta e interpretata alla luce delle Scritture, dei Padri e dei Dottori della Chiesa, in particolare dell’insegnamento di Tommaso d’Aquino, grazie al quale si costruiscono le basi di una diversa visione dell’uomo, dei suoi diritti e del primato della legge naturale.
In buona sostanza, Talamo s’interroga circa la motivazione, che muove molti popoli a non rispettare il principio di uguaglianza che è invece naturale, appunto, a partire anche dalla «morale unità del genere umano».
Insomma, nel termine “unità” potrebbe esserci tutto il senso della “fratellanza”, che rende il tema prescelto da Papa Francesco una preoccupazione antica quanto attuale della Chiesa, in cui nuovo è l’approccio alla schiavitù come problema non di alcuni popoli, ma globale. In quanto sistema sociale è infatti difficile cogliere i contorni di un concetto diventato, forse, “liquido”, per l’eccessiva penetrabilità in ogni contesto sociale, economico, politico, culturale ed ecclesiale, in ogni contesto in cui, sulla comunione, prevale il senso di una egofania spietata.
Il termine schiavitù ci lascia rivedere e riflettere ulteriormente, in questo senso, sulla storia della nostra democrazia, che si è forse infranta dietro il sogno di una modernità solida, fondata spesso sulla paura dell’altro.
di Francesco DEL PIZZO
Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale
Fonte: Osservatore Romano del 21 settembre 2014