Elezioni europee: prepariamo le armi, di Franco Bruni
Il processo di integrazione europeo rischia lo stallo. Per il Consiglio di giugno la Commissione e gli stessi Stati membri avevano diversi progetti. L’avvio della predisposizione del bilancio pluriennale dell’UE facilitava le idee innovative. Ma i passi avanti sono mancati. Sotto l’urgenza del problema migranti, col combinarsi delle debolezze del governo tedesco, del tono euroscettico di quello italiano, delle durezze del gruppo di Visegrad e di quello degli Otto, capeggiato dall’Olanda, il Consiglio è apparso sterile. Pare quasi affacciarsi un’ondata di disintegrazione che i prossimi mesi possono invertire in extremis o accrescere fino a rischiare il disastro. La leva che agirà in un senso o nell’altro sarà l’approssimarsi delle elezioni europee del maggio 2019. Se esse premiassero, in Italia e altrove, i partiti variamente nazional-populisti, le istituzioni comunitarie potrebbero trovarsi intrappolate in una situazione paradossale perché popolate da chi vuole suicidarle. Qualcuno pensa che a paradosso corrisponderebbe paradosso e che tale situazione si autocorreggerebbe perché l’antieuropeismo al potere di addomesticherebbe fino a cambiar di segno. Tralasciando simili acrobazie mentali, chi vuole salvare e rilanciare l’Unione deve preparare le armi per un combattimento politico e mediatico decisivo.
Le armi possono essere diverse. Un primo tipo si concentra sul contrasto alla propaganda euroscettica e, in particolare, alle falsità con cui spesso si alimenta. È l’arma del fact checking contro le fake news. Fra i molti variegati esempi c’è l’ingigantimento del fenomeno delle migrazioni e la falsificazione del suo profilo – proprio in una fase in cui sembra ridimensionarsi e prestarsi a esser meglio governato – che suscitano timori e solleticano suscettibilità nazionalistiche. E, in tutt’altro campo, c’è l’esempio di una pretesa “austerità” finanziaria con cui le direttive di politica monetaria e fiscale europee – in realtà virate da ormai anni verso gli stimoli e la flessibilità – impedirebbero di rilanciare la crescita.
Smentire le falsità è però complicato e ha un impatto sull’opinione pubblica, e sul modo con cui vota, molto minore di quando esse vengono circolate. Le falsità sfruttano l’ipersemplificazione dei problemi che piace alla gente: se chi smentisce si lascia attrarre dalla trappola di ipersemplificare rischia di essere a sua volta smentibile, mentre se articola con qualche completezza la questione perde ascolto e passa per un membro delle élites che imbrogliano i popoli. Inoltre la smentita, anche quando efficace, è un’arma di rimessa che lascia il gioco nel campo di chi avvelena il dibattito con semplicismi e falsità. Va anche detto che si tratta spesso di smentire affermazioni che partono da problemi veri come, negli esempi appena fatti, quelli delle migrazioni e della difficoltà di calibrare le politiche economiche europee. Problemi reali che vengono poi distorti nell’esasperarne le dimensioni, descritti con dati scorretti e affrontati con metodi impropri e controproducenti. Ma chi cerca di raddrizzare il discorso si espone all’accusa di negare i problemi.
Riconoscere la difficoltà e i limiti dell’arma del fact checking non significa rinunciarvi. Occorre anzi usarla con più impegno e abilità. Non solo: occorre informare anche su fatti, dati e questioni che la disinformazione e il semplicismo nazionalista non tocca e non affronta. Oltre all’arma della smentita c’è quella di giocare d’anticipo e spiegare i benefici dell’integrazione e i costi della non-Europa su questioni che l’euroscetticismo non ha ancora attaccato, magari perché la loro effettiva complessità è una sfida anche per i più affermati fabbricatori di semplicismi. Un esempio importante è l’unificazione dei mercati finanziari dell’eurozona – uno dei temi più urgenti oggi in agenda della Commissione – che arrecherebbe benefici notevoli ma obiettivamente difficili da spiegare.
Le armi dello smentire e dello spiegare hanno però entrambe un grave limite. Parlano alla testa più che alla pancia e al cuore, usano il ragionamento più delle emozioni. Poiché l’antieuropeismo fa l’opposto, il rischio è di mancare il bersaglio. È sempre questione di semplificazione, perché le emozioni paiono richiederla: forse che per suscitarle l’europeismo deve piegarsi a usare machiavelliche e false semplificazioni? Forse no, ma è aperta una urgente gara di idee su come evitare di rimanere prigionieri di un linguaggio solo razionale. Occorre, diceva Zweig molto prima che nascesse l’UE, “conferire visibilità e passione all’idea di Europa” perché “mai il cambiamento è venuto dalla sola sfera intellettuale o dalla sola riflessione”. Qualcuno potrebbe non considerare un’indebita semplificazione ricordare con messaggi più efficaci che il progetto di unire l’Europa è nato dal desiderio di scongiurare il ripetersi delle guerre tremende dalle quali essa è stata per secoli dilaniata: dire del rischio che il rinascere dei nazionalismi possa far fare all’Europa “la fine della Jugoslavia” e riaprire forme di ostilità non più solo economiche e politiche, magari partendo da degenerazioni dei già esistenti blocchi di polizia e fili spinati contro le migrazioni interne. Qualcuno potrebbe invece, in positivo, evocare la storia più antica ricordando l’eccezionale contributo dell’apertura continentale agli italici successi culturali ed economici della Venezia e della Firenze rinascimentali.
Più in generale, ci sono due modi di parlare alla pancia e al cuore senza tradire l’onestà della ragione: (i) scegliere con cura gli argomenti su cui insistere con dati e ragionamenti e (ii) insistervi con un linguaggio che sfrutti onestamente anche percezioni emotive complementari a quelle razionali. Abbondano gli esempi di argomenti da privilegiare, come le varie possibili dimostrazioni che, contro le crescenti e minacciose complessità della convivenza globale con i più grandi e forti, “uniti si vince”; e come i progetti per la graduale crescita di un welfare europeo, dove l’UE divenga per tutti i suoi membri un aiuto a superare le ferite sociali più sentite, le fasi acute di disoccupazione e povertà nonché i disagi delle migrazioni. Quanto alla questione linguistica, si tratta di sfruttare le diffuse competenze nell’uso più moderno dei media e delle tecniche oratorie. Usare bene i cartoni animati non offende la nobiltà della causa europea e può convogliare con più facilità dati e informazioni che vaccinano contro le narrazioni scorrette che la danneggiano.
C’è molto meno di un anno per salvare le elezioni europee: è vera emergenza, le armi non mancano, occorre impegno e coraggio.
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