E ora investiamo nel nostro bene più prezioso, i bambini, di Vittorio Pelligra
Da dove ripartire? Questo interrogativo chiama una risposta urgente, ma ragionata e condivisa. Quali sono le priorità che vogliamo porci per i prossimi mesi e per i prossimi anni? Una volta affrontate le prime emergenze, la cura dei malati, il controllo dei contagi, la riapertura in sicurezza, questa fase di ripartenza può offrirci possibilità inedite, fino a pochi mesi fa, per progettare e cominciare a costruire il futuro. L'attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, ci consente una nuova flessibilità nelle azioni di politica economica, nella possibilità di fare debito e investimenti pubblici per cercare di dare ossigeno all'economia e riattivare il processo di crescita drammaticamente interrotto dalla pandemia.
Lo shock e il post-virus
Lo shock antropologico che abbiamo vissuto ci predispone naturalmente al cambiamento. La prospettiva peggiore che potremmo assumere, al riguardo, è quella di impegnarci a ricostruire il nostro sistema sociale ed economico sull'impianto di quello pre-virus. Non sarebbe una ripartenza, sarebbe un passo indietro. Davanti a uno schianto esogeno di tali proporzioni e ad un cambiamento delle condizioni esterne così evidente, chi non sceglie convintamente di andare avanti, non può che rimanere indietro. E non è esattamente di una regressione a modelli obsoleti ciò di cui, ora, più abbiamo bisogno. Ci si pone un'occasione unica per progettare il nostro futuro e per porre le basi di un processo che determinerà il futuro del nostro paese nei prossimi decenni.
L’importanza di una rete internazionale
Sapremo sfruttare appieno questa occasione? Dipende essenzialmente dalle priorità che sapremo darci, già ora, subito. Ci sono alcune scelte comuni che si pongono all'attenzione di tutti i paesi avanzati e che i commentatori internazionali stanno evidenziando in queste settimane. L'esperienza della pandemia ci ha fatto comprendere il ruolo cruciale del coordinamento internazionale. Problemi come quelli sanitari a livello globale, ma lo stesso vale per le sfide ambientali e quelle legate ai movimenti migratori, non si possono affrontare in assenza di uno stretto coordinamento tra paesi.
Politiche coordinate, progettate e accompagnate da una solida leadership partecipata, rappresentano l'unica risposta efficace a problemi che hanno origine oltre le frontiere e ricadute interne. L'unica alternativa disponibile è la ricetta sovranista che ci condanna a risposte a base di muri sempre più alti, barriere doganali in entrata e, inevitabilmente, anche in uscita, una strategia di pura difesa, la fine degli assediati in una roccaforte pronta a capitolare sotto la pressione della storia. Strategie penose per il respiro corto e l'inefficacia.
Una nuova Italia?
Sul piano interno, la prospettiva di una profonda e duratura recessione potrà essere evitata se saremo capaci di intervenire prontamente ed efficacemente non solo nel tamponare le immediate e pur gravi emergenze, ma a pensare alla progettazione di un nuovo paese, migliore di quello che ci siamo lasciati alle spalle con l'avvio di questo cruciale 2020. Un anno cruciale, appunto che ci pone davanti ad un bivio: tornare indietro, ripristinare le condizioni pre-epidemia o imboccare un nuovo sentiero di cambiamento sostenuto e di innovazione radicale? Dovremmo iniziare a puntare sulle infrastrutture.
Il nostro paese, dove crollano i ponti e si chiudono le gallerie, dove si rischia di morire per frane ed alluvioni o in edifici cadenti alla prima scossa di terremoto, ne ha estremo bisogno. Sono un pre-requisito per la ripartenza. Abbiamo la possibilità di finanziare un grande piano di ammodernamento che avrebbe, nel lungo periodo, un moltiplicatore estremamente elevato. Soldi ben spesi, dunque. C'è il tema dell'università e della ricerca scientifica. La spinta alla crescita economica, e non da oggi, viene prevalentemente dall'innovazione tecnologica e dalla ricerca.
Ricerca universitaria e sviluppo
Abbiamo pochissimi laureati, pochissimi dottorati, bassissimi investimenti pubblici in ricerca e sviluppo. Probabilmente è giunto il momento che, dopo anni di blocchi e disinvestimenti, lo Stato si faccia coraggioso e investa massicciamente in futuro. Ne gioverebbe la nostra capacità di affrontare da un punto di vista medico e biologico futuri shock, la nostra capacità di anticipare e gestire radicali cambiamenti sociali già in atto e di traghettare fasce sempre più ampie della popolazione verso le professioni dei prossimi decenni.
Migrazioni, globalizzazione, Europa
Una terza priorità riguarda il tema delle frontiere, degli scambi commerciali e dei movimenti migratori. La tentazione alla quale occorre resistere con tutte le forze è quella di rispondere ad una minaccia come quella pandemica con un attacco a nemici costruiti ad arte: i cinesi che mangiano i topi crudi – che tutti abbiamo visto – o che fabbricano virus in laboratorio, o tutti quegli altri che ci rubano il lavoro e, in più, portano le malattie. La globalizzazione non è solo delocalizzazione. Questo dipende da come i nostri imprenditori la interpretano.
La globalizzazione e lo sviluppo del commercio internazionale hanno ridotto il numero di coloro che vivono in condizioni di estrema povertà da due miliardi a seicentocinquanta milioni in meno di quarant'anni. Moltissimo c'è ancora da fare, ma molto è stato fatto, tenendo conto del fatto che l'aumento del tenore di vita ha avuto ripercussioni positive sulla salute e sul livello di istruzione di una moltitudine di persone. Lo stesso processo di apertura dei commerci e delle frontiere ha ridotto di dieci volte il numero di conflitti militari tra stati nel periodo 1950-2000, rispetto agli anni 1820-1949. Legami commerciali più solidi hanno eliminato gli incentivi ad un attacco militare e accresciuto quelli orientati ad una protezione reciproca (Jackson, M.O., Nei, S., 2015. Networks of military alliances, wars, and international trade). In questo senso è indispensabile che l'Europa si presenti sui mercati internazionali come un'entità coesa e credibile, unitaria e omogenea. Ogni tentativo di delegittimarne il ruolo o la sua stessa esistenza, rappresenta un pericoloso passo indietro ed un affronto alla nostra storia.
I bambini, la nostra cruciale infrastruttura
Una quarta priorità riguarda la rete di protezione sociale. Un'architettura di welfare moderna che veda la spesa pubblica come investimento in inclusione, sicurezza, capacitazione, piuttosto che, come ancora troppo spesso avviene, un costo netto per finanziare degradante assistenzialismo e controllo sociale.
Ma la priorità prima alla quale dovremmo dedicare il massimo degli sforzi e delle risorse è un'altra, riguarda il futuro stesso. Sono i bambini, i giovani e le loro famiglie, il loro benessere la loro educazione, la formazione delle loro capacità di viaggiare il mondo e la storia. Sono loro la nostra infrastruttura più importante.
Lo studio dell'Università di Harvard
Uno studio appena pubblicato dall'Opportunity Insights Team dell'Università di Harvard, ha preso in considerazione e analizzato a fondo 133 diverse politiche pubbliche, attuate negli Stati Uniti negli ultimi decenni. Interventi in ambito educativo, fiscale, occupazionale e sanitario. Lo studio stima il cosiddetto “Marginal Value of Public Funds” di ognuna di queste misure, il rapporto, cioè, tra i vantaggi per i beneficiari e il costo per il governo.
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