Dal Cookie allo Zen, di Angela Donatella Rega
Cookies, biscotti. Certo se un italiano vedesse comparire sullo schermo del proprio computer o del proprio smartphone una scritta del genere: “il nostro sito utilizza biscotti, vuoi accettarli o personalizzare la loro tipologia?”, credo che anche il più sprovveduto ne trarrebbe delle conclusioni amaramente ironiche. Sarebbe molto più intuitivo il senso dei cookies, dei biscotti, immessi nei nostri circuiti dal web.
Se prendiamo ad esempio un ultrasessantenne, cioè una persona matura e nel pieno del vigore, attualmente almeno è così, ci rendiamo conto che quando apre un qualsiasi sito, dopo aver accettato i “biscotti”, sarà bombardato da un anacronistico elenco di prezzi allettanti di bare, funerali, dentiere, case di riposo, lasciti della quota disponibile dell’eredità et similia. Hanno fretta.
Sì, chi segue un interesse privato ha fretta di realizzare i propri affari. Vogliono per caso farti sapere che ti manca poco, che il tempo vola, che se ti dai una mossa è meglio? Non esageriamo, non lo fanno apposta; le imprese, le aziende, non ci vogliono male, pagano per sfruttare gli algoritmi per fare pubblicità mirata, tutto qui.
Un mondo involontariamente spietato. Il grigio, il crepuscolo, non il bianco o il nero. Quella zona in cui non riconosci il male e ne resti come inebetito.
Eh, ma senza interesse privato e senza concorrenza avremmo chiuso, niente lavoro, niente stipendio, niente di niente.
Ma la politica, che ancora esiste, anche se stiamo cercando da decenni di annientarla coprendola di fango dall’interno e dall’esterno delle aule parlamentari, al punto che abbiamo scelto persino di diminuire il numero dei nostri rappresentanti, perché non migliora la regolamentazione di ciò che dovrebbe servire a darci benessere ed invece finisce col darci malessere? È evidente che va adeguata o in molti casi solo applicata la legge sulla privacy, vanno soprattutto informati i cittadini di come possono difendersi da questa invasione della propria sfera personale.
Ma torniamo un attimo al “niente di niente”, all’apparente opposto del libero mercato. Col niente di niente abbiamo detto non si vive, lo sanno bene i poveri della porta accanto, che in questa stagione autunno-inverno (come direbbe un grande magazzino) non sanno cosa mangiare, ma soprattutto come riscaldarsi. Perché se una stufetta costa poco e si può rimediare, la corrente elettrica non la si può pagare, ed intirizziti dal freddo, questi poveri che ci passano accanto ogni giorno, possono fare appunto niente, forse ammalarsi e talvolta morire.
Il niente di niente per alcuni è una condanna, a volte definitiva.
Sentiamo stridere, vero? Questo contrasto tra un affollarsi di interessi privati ed il niente della famiglia di disoccupati della porta accanto che non possono curare i denti e ricevono cure tardive in tutti gli altri casi. Probabilmente per Natale faremo qualche elemosina in più.
Ma anche in questo caso la politica che ancora esiste dovrebbe pensare a ridistribuire, a far tesoro delle entrate, a sostenere ed incentivare i servizi pubblici alla cui scomparsa ci stiamo rassegnando per gli stessi motivi per cui plaudiamo alla fine della politica, per il fango che vi è stato gettato sopra.
Ma c’è un altro “niente” che contrasta con l’interesse privato. E quest’ultimo ci riguarda tutti.
Fare un vuoto dentro riguardo all’arrivismo, al consumismo, al desiderio di possedere e di diventare sempre più benestanti. Siamo ad un punto in cui lo sfrenato consumismo anche di oggetti poco costosi, dovrebbe subire una battuta d’arresto perché ce lo sta chiedendo l’ambiente: consumare meno, spostarsi in ambiti più ristretti e con mezzi non inquinanti (magari procurati con politiche economiche e scelte intelligenti supportate dalla Scienza, non attraverso tre generazioni di autoveicoli da rottamare a cicli di sei sette anni, come paventato dal PNRR). Non essere costretti a rottamare a ritmo accelerato televisori, computer, batterie ed elettrodomestici in genere.
Fare vuoto, vuoto di interessi privati, perché il bene, quello comune, passa dall’agire disinteressato, non c’è altra via.