All'Europa servono politiche strutturali, ma non l'austerity, di Amartya Sen
È un’Europa avvolta in una sorta di amnesia generale quella che si avvicina alle elezioni. Un continente che sembra aver dimenticato le lezioni fondamentali non solo della macroeconomia ma anche dei grandi classici come Adam Smith, A. C. Pigou, J. M. Keynes, Alfred Marshall.
Governi che hanno confuso la necessità di realizzare riforme strutturali per sostenere la crescita con gli obiettivi di austerity. L’analisi, dai toni forti, arriva da un europeista tra i più convinti: Amartya Sen, premio Nobel per l’economia, da ieri a Roma per una serie di convegni a partire da quello organizzato dall’Accademia dei Lincei per ricordare un altro scienziato sociale, Albert Hirschman- appuntamento al quale ha partecipato anche il presidente Giorgio Napolitano - per proseguire oggi con un seminario sul tema del welfare e dello sviluppo territoriale, cui parteciperà su invito di Censis e Unipol.
«Le politiche dei governi europei degli ultimi anni - spiega Sen in questo colloquio con Il Sole24Ore - sono piene di errori. Si è confuso l’obiettivo dell’austerity con quello dei programmi strutturali indispensabili per sostenere l’economia. Ma quando il reddito disponibile dei cittadini crolla e la disoccupazione raggiunge livelli insostenibili l’ultima cosa da fare sono i tagli di spesa».
Professore è stata la scelta dei consolidamenti fiscali a portarci dove siamo oggi?
L’Europa sta uscendo da una lunga recessione con una ripresa ancora debole e senza aver risolto le sue vulnerabilità di fondo. Tutti gli indicatori sono peggiorati: il reddito pro capite, il tasso di occupazione, la diffusione di capitale e la capacità degli individui di rimettersi in gioco sul mercato del lavoro. In questo contesto servono politiche capaci di riavviare l’economia, ridare abilità alle persone che sono senza impiego, servono politiche di contrasto alla povertà. I governi devono trovare più entrate per finanziare queste misure non devono solo tagliare la spesa, altrimenti s’innescano solo spirali negative. Servono più servizi alla persona, persino Bismarck lo aveva compreso ai suoi tempi.
E il prezzo che stiamo pagando per aver adottato la moneta unica?
Ho sempre sostenuto che fare l’unione monetaria prima di aver realizzato l’unione politica, fiscale e bancaria è stato un grave errore. I’unione bancaria non rientrava nella visione d’Europa di Altiero Spinelli e del suo manifesto di Ventotene. I paesi dell’Unione hanno economie molto diverse e quello che può avvantaggiare l’ex area del marco non va bene per un’economia che utilizzava la dracma.
Ci penalizza il differenziale di competitività?
Nel contesto attuale il limite maggiore dell’euro è l’incapacità di fare svalutazioni che consentano maggiori spazi di competitività. In questo modo sono spiazzate le imprese e gli stessi lavoratori.
Da dove si può ripartire?
Da una politica più forte e coraggiosa orientata alla crescita e basata su un maggior coordinamento. Non c’è altro approccio fuori da questa sequenza: unione fiscale, unione politica e unione bancaria.
Quali priorità bisognerebbe affrontare con maggiori spazi fìscali?
Bisogna ridurre la diseguaglianza sociale. E una delle priorità anche se non la sola. Il mio amico Joe Stiglitz, che è anche lui un convinto sostenitore del progetto di unione europea, ha studiato l’impatto che una crescente diseguaglianza può determinare sul potenziale di crescita di un’economia Servono, lo ripeto, politiche fortemente orientate alla crescita e allo sviluppo del capitale umano. Bisogna uscire da misure anti-debito che equivalgono a misure anti-crescita. I debiti sovrani europei erano molto peggiori dopo la seconda guerra mondiale ma grazie alla crescita economica i paesi sono riusciti a ripagarli.
A cura di Davide Colombo
Il Sole 24 Ore 07/5/2014
fonte: http://www.fondfranceschi.it/cogito-ergo-sum/aball2019europa-servono-politiche-strutturali-ma-non-l2019austeritybb, 08.05.2014