Adesso costruiamo ospedali finanziari, di Massimo Melpignano
La pandemia virale rischia di essere sopraffatta dalla pandemia economica.
Da più parti si chiede che un evento che riguarda tutti gli Stati, sia pure con impatti diversi, sia affrontato in modo congiunto.
E’ fuori di dubbio che quanto accaduto in Italia tracci la strada, o quantomeno costituisca un precedente, sia sotto il profilo dell’approccio sanitario e della gestione dell’emergenza, sia anche sotto il profilo delle conseguenze economiche.
Il “lockdown”, la chiusura delle attività economiche non essenziali o strategiche, ha da qualche giorno superato il mese. Praticamente un mese esatto mentre scrivo, al netto di quello che sarebbe stato il classico ponte di Pasqua e pasquetta.
Eppure in modo pressocchè unanime, da ogni settore produttivo del Paese, si levano voci che gridano al tracollo economico. Preoccupazioni legittime, condivise da chi scrive, che però impongono alcune riflessioni, da un lato sulla forza del nostro paese, dall’altro sulle sue debolezze.
La legislazione di intervento economico, frastagliata e talvolta confusa, succedutasi per l’emergenza Covid, ha come al solito puntato l’attenzione da un lato sulle fasce più deboli della popolazione, destinatarie di misure tampone (e, per completare il discorso, anche dell’attenzione del vivace e nevralgico mondo del volontariato). Dall’altro, in particolare con il recente decreto “liquidità”, ha puntato l’attenzione sul mondo delle imprese.
Sono rimasti nei fatti esclusi da questa fascia di intervento i “piccoli” e i “medi”, cioè quella cintura economica, costituita spesso da ditte individuali rappresentata da bottegai, artigiani, liberi professionisti ecc.-
Per loro poco o nulla: sembra che non ci sia spazio nella fase due ormai prossima.
Anche in questa occasione il Governo, come insegna la storia dei Governi di questo Paese, ha guardato alla base e alla cuspide della piramide, tralasciando i corpi intermedi, a cui in queste settimane sono stati chiesti sacrifici enormi.
Agli studi di legali, di commercialisti, di consulenti del lavoro è stato concesso di rimanere aperti, affinchè svolgessero l’immane compito di tradurre le norme emergenziali emanate, aiutando i loro clienti ad orientarsi e ad applicarle al meglio. E’ stato chiesto loro di sostenere costi di gestione sempre uguali (cioè molto alti) a fronte di ricavi pari a zero. Lavorare per tenere in vita i clienti, finanziando l’attività con proprie risorse, ove esistenti, maturando nella sostanza un credito professionale (peraltro non garantito da alcuna società parastatale, come invece statuito per il credito bancario).
Analogo discorso, mutatis mutandis, può farsi per le botteghe, i negozi di alimentari ecc.-
Nel sostanziale disinteresse normativo, queste attività sono rimaste aperte perlopiù in quei casi in cui l’organizzazione ruotava intorno alla famiglia: padre, madre e figli a mandare avanti salumerie e pescherie, usando la mai troppo celebrata capacità di adattamento, patria per improvvisarsi rider (la storica e mai tramontata consegna a domicilio, a chiamarla con il nome proprio).
Non è certo giusto innalzare queste categorie ad eroi: difendono la loro storia, il loro lavoro, il loro patrimonio rappresentato dai clienti. Ma certo l’assenza di ogni intervento strutturale, condanna molti di loro ad una morte economica certa. Soltanto rimandata.
Le misure del decreto “Cura Italia” si sono limitate a consentire una moratoria dei debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali. Il problema viene di fatto spostato a Giugno. Ma con quali soldi verranno pagati questi debiti nessuno sa dirlo.
Anzi forse no, perchè una risposta può pervenire dal successivo decreto battezzato “liquidità”, grazie al quale i “piccoli” economici potranno ottenere dalle banche, con tempi e modalità non ancora definite, un presto fino a 25.000,00 euro garantito dallo Stato, per interposta società (Sace).
In questa nuova partita di “giro”, che si affianca a quella universalmente nota dell’IVA, i piccoli economici pagheranno le tasse sospese con il Cura Italia con i debiti contratti grazie al “decreto liquidità”. E se non riusciranno a rimborsare quel prestito lo Stato, attraverso soggetti terzi per non apparir cattivo in prima persona, procederà al recupero del credito.
Se non è ancora sufficientemente chiaro il meccanismo, ma credo proprio che lo sia, alla profonda crisi di liquidità dovuta all’arresto della circolazione del denaro, lo Stato risponde facendosi garante di nuovi debiti che i piccoli dovranno contrarre e che certamente faranno fatica a rimborsare.
Si tratta di decidere se, nei prossimi anni, busseranno dietro le porte di professionisti e bottegai, l’Agenzia delle Entrate o le banche per esigere il pagamento del dovuto. In ogni caso si è messo in circolo un enorme cambialone, altro che liquidità.
Si affacciano nuove povertà. La povertà dei piccoli economici che arrivavano sul filo puntuali alle scadenza, o leggermente in ritardo. Che pagavano con assegni “generosi” nelle date che “richiamavano”, sostituivano, rinegoziavano. Ma che comunque riuscivano a rimanere in piedi perché lo volevano.
Sono i candidati a contrarre il virus economico dei prossimi mesi, e anche di loro si dirà, con discutibile cinismo, che avevano pregresse patologie economiche.
Bisogna costruire al più presto per loro ospedali economici.
Oppure bisognerà intervenire in modo strutturale, per salvare la moltitudine di micro imprese su cui si fonda l’Italia.
[avvocato, socio CuF, Bari]