15 euro per morire. Nessuno sballo vale il costo di una vita, di Massimo Serio
Sono passati pochi mesi da quando ci siamo riappropriati della componente esterofila dell’esistenza e l’affanno nel recuperare i segmenti improvvisamente spezzati dalla vita pre-coronavirus, al vedere le serate assembrate, sembra riuscito del tutto. Da quando siamo tornati a respirare l’aria delle strade e delle piazze, tante notizie ci sono piovute addosso. Da quelle economiche a quelle religiose, da quelle politiche a quelle sportive, e tutte inanellate dalla medesima domanda: come attrezzarci per proseguire il nostro cammino post-emergenza sanitaria Covid-19.
E così dalla cassetta degli attrezzi abbiamo recuperato gli arnesi per affrontare la drammatica caduta del Pil, per tentare di rientrare a scuola e all’università più o meno in sicurezza e per rilanciare i settori messi in ginocchio da questa epidemia, dai contorni futuri ancora foschi.
Abbiamo pensato (quasi) a tutto. Tranne che a loro (sicuramente): i nostri ragazzini. In questo diminutivo è agglomerato tutto il dramma di questa fascia d’età, delineata da così tanti punti di rottura e da così poca continuità, da confondere anche noi educatori.
Sono ragazzini perché non sono né piccoli, né grandi. Né giovani né adolescenti. Tredici/sedici anni è una categoria a sé e la stessa scienza psicologica ha non poche difficoltà “ad incasellare” con rigore questa stagione della vita, nonostante la consapevolezza che nessuno può mai essere catalogato.
La psicanalisi, però, un punto saliente dal quale partire ce lo offre: è l’età in cui il soggetto deve trovare una propria via al desiderio. E proprio da questo desiderio mancato, malcelato, distrutto o forse solo incanalato in una strada senza senso e senza ritorno, trova spiegazione la morte di due giovanissime vite, Flavio e Gianluca, ritrovati senza vita dai propri genitori nelle camere da letto a causa di una dose di metadone da 15 euro.
Un episodio che ha strappato ancora una volta il velo di indifferenza sulla precaria condizione di moltissimi nostri poveri figli. Quale dannata voglia di conoscere l’ignoto ha attraversato i pensieri di questi due figli?
Guardi le loro facce in fotografia e ti accorgi che non possedevano ancora le tracce dell’adultità, eppure stavano già perdendo i segni della fanciullezza. Osservi i loro occhi non ancora allenati a scrutare la profondità del futuro e al desiderio di conquistarselo, eppure non già più rivolti ai giochi dei bambini. I loro corpi non avevano ancora la prestanza fisica di un uomo, eppure erano già slanciati verso l’esplosione della vitalità adulta.
In questa terra di mezzo che chiamiamo ragazzini, in cui vive l’assurdo e il desiderio, il dramma e il coraggio, si è consumata l’ennesima tragedia. E la loro sconfitta è anche di tutti quelli che non avevano capito il momento favorevole per farsi compagni di viaggio incoraggiandoli ad estromettere dalle loro vite chi ostacolava la loro fioritura.
A riconoscere (e ad allontanare) chi, vestito da agnello, stava vendendo il seme della loro condanna, chiudendo per sempre i conti con un’esistenza che non è mai in debito fin che si vive. Forse nessuno era riuscito a spiegare fino in fondo che alcuni lupi si servono delle frustrazioni e dei fallimenti altrui come proprio salario e soddisfazione.
L’opera più difficile, si sa, consiste proprio in questo: nell’abbandonare a riva tutti coloro i quali ti vogliono sfiorito e prendere il largo con quelli (e per quelli) che ti vogliono vedere sbocciare. Con coloro i quali starebbero ore con te, in silenzio, a contemplare l’alba ed imparare assieme, dietro una barca arenata sulla spiaggia, con quale potenza ogni giorno si può far nascere un nuovo inizio. Ma i neofiti, almeno all’inizio, per imparare quest’arte, hanno bisogno di qualcuno che li aiuti.
Con loro non ci siamo riusciti e siamo arrivati secondi, i primi dei perdenti. Troppo tardi. Quando erano rimasti soltanto due corpi esanimi da piangere e non più due vite da salvare. Per questo, dall’altra parte della riva, vi giunga almeno il nostro Perdono.