Alta Murgia, ovvero l'agonia di una concreta utopia, di Piero Castoro
La memoria, si sa, è una freccia capace di andare avanti e indietro nel tempo, ma, in quest’epoca così deprimente, la memoria sembra irretita come non mai e rischia, perciò, di non essere più il supporto necessario per orientare le nostre azioni verso un futuro migliore.
È, questo, il caso dell’Alta Murgia, un territorio che è stato per troppi anni preda di tumultuosi mutamenti che hanno compromesso pericolosamente la sua integrità fisica, biologia e storico-culturale.
Forse è il caso di rammentare, almeno per i più giovani, che l’Alta Murgia, dopo aver ospitato tra il 1959 e il 1963, 30 missili con testate nucleari, dagli anni Settanta è diventata teatro di esercitazioni militari, con i suoi cinque Poligoni di tiro “occasionali”.
I processi di trasformazione territoriale e gli effetti indotti dai profondi cambiamenti che hanno investito il mondo rurale, hanno infatti determinato, nel giro di pochi decenni, profonde modificazioni anche dell’uso e dell’immagine stessa del paesaggio murgiano. Sia le componenti antropico-insediative che quelle fisiche naturali appaiono ancora oggi, per varie cause concomitanti, in uno stato di forte degrado.
Al di là di altre gravi forme di degrado (i cosiddetti e inutili “invasi artificiali” costati 100 miliardi di vecchie lire; le innumerevoli cave; lo sversamento di rifiuti tossici su ampie superfici, pale eoliche...; per non citare il rischio ancora attuale che il territorio ospiti il deposito unico di scorie nazionali...) l’attività di “spietramento”, per esempio, ha cancellato più della metà dei pascoli calcarei la cui superficie complessiva era, negli anni ’80, di 60.000 ettari.
Tutto questo, tra l’altro, senza riuscire a dar vita ad una economia agro-pastorale in grado di svincolarsi da una sopravvivenza garantita solo dalle politiche assistenziali regionali, nazionali ed europee e perciò perennemente in perdita.
Sono trascorsi dieci anni dalla istituzione del parco nazionale dell’Alta Murgia, una proposta che, aprendosi pian piano un varco nell’indifferenza generale e proseguendo a marciare sempre dal basso, ha saputo coinvolgere ampi schieramenti sociali e istituzionali, grazie alla tenacia di un movimento ricco e variegato che, soprattutto ma non solo, con le grandi marce popolari Gravina-Altamura (1985,1987, 2003, 2005) è riuscito almeno a porre le premesse per tutelare il patrimonio ambientale e antropico dell'Alta Murgia in direzione di un possibile sviluppo durevole.
Non è stato un percorso facile. Abbiamo, con franchezza e fin dall’inizio, sostenuto che costruire il Parco significava realizzare “pezzo per pezzo” un progetto politico di grande portata per le sue implicazioni sociali, economiche e culturali; che tale progetto, inoltre, poteva realizzarsi solo come “costruzione collettiva”, coinvolgendo cioè direttamente, dal basso, le comunità locali e le forze produttive sane, e valutando attentamente i costi e i benefici che necessariamente si dovevano ridistribuire su ampie categorie di cittadini. Sembra perciò legittimo chiedersi, dopo dieci anni, se quel progetto nato tra mille difficoltà sia nel frattempo cresciuto nella direzione auspicata...
Lo diciamo subito, per evitare equivoci: l’aria che tira non è delle migliori. E come potrebbe essere diversamente quando, al di là delle intenzioni proclamate, si registra una assoluta continuità con un passato che non passa, ovvero con tutte quelle modalità di gestione del territorio che, appunto, si è voluto modificare con l’istituzione del parco? Si attendevano risposte immediate e concrete, soprattutto per coinvolgere attivamente le associazioni di base attive sul territorio, i tanti operatori agricoli che hanno mostrato un duro scetticismo, per non dire di quelli che, tra loro, hanno manifestato tutta la loro opposizione al parco.
L’Ente istituito, è stato presieduto per cinque anni dal direttore dell’ASI del capoluogo. Le cariche politiche furono subito lottizzate e abbiamo assistito, in questi anni, ad equivoche vicende di compromissioni di ruoli e di funzioni, con il paradosso che tra coloro che sono stati coinvolti direttamente nella gestione dell'Ente, non mancano quelli che per anni si sono battuti contro l'idea stessa del parco.
Il secondo Presidente, anch'egli barese, in carica da cinque anni, forse condizionato dalla sua unica professione (oltre quella politica) di disc jockey ha preferito spendere ogni anno centinaia e centinaia di migliaia di euro per i “festival UP”..., piuttosto che impegnare risorse per bonificare le arie inquinate e degradate, per creare filiere corte del grano o della carne, per creare reti e presidi sociali ed economici al fine di valorizzare, in concreto, le non poche energie endogene che ancora resistono sul territorio... (su questi temi abbiamo pubblicato negli anni numerose e dettagliate analisi e proposti concreti progetti, rimasti purtroppo solo sulla carta...).
Insomma, la politica degli enti preposti alla tutela e valorizzazione di quest’area non è riuscita in alcun modo a sottrarre questo territorio dalla sua ormai condizione di debolezza strutturale e di marginalità economica, nonostante i proclami e le pubblicità che, spesso prive di riscontri critici, appaiono ogni tanto sugli organi di stampa.
Gli Enti locali, del resto, indaffarati come sono, si limitano ad agire come se il parco non esistesse e non dovesse esistere. Simile ad una clessidra che perde a poco a poco dal fondo i suoi granelli di sabbia, il tempo scandisce, anche sull'Alta Murgia, sempre più il ritmo di una squilibrio che alimenta la moderna coscienza ecologica.
Chi si batte oggi in difesa dell’ambiente sa che quasi sempre è questione di tempo; sa che la vastità e la velocità delle trasformazioni in atto non consente più esitazioni né silenzi; sa che la sua azione risulta lenta, limitata paradossalmente anche dal fatto di aver accettato le regole dei moderni sistemi democratici; sa che l’oggetto del contendere nel frattempo è destinato al deterioramento e alla perdita irreversibile; sa, infine, che la vittoria quando viene, viene quasi sempre tardi.
Il tempo, insomma, non può essere più considerato una variabile neutra e indifferente, e perciò, specie in relazione ai problemi ambientali, piuttosto che continuare a lasciarci portare da esso e ad affidarci solo all’avvenire o ad attendere improbabili e nuovi principi della politica, dobbiamo sempre più numerosi convincerci che siamo noi a doverlo portare, qui e ora, nei luoghi che abitiamo, nelle scelte invisibili che condizionano la realtà delle nostre esistenze quotidiane.
Piero Castoro (Centro Studi Torre di Nebbia – Comitati Alta Murgia)