Sapere e responsabilità, di Rocco D’Ambrosio
Le università italiane, laiche o ecclesiastiche che siano, hanno diversi problemi (si vedano le pagine di seguito). Il più grave, a mio avviso, è quello dei docenti.
Certo, tra i docenti, c’erano e ci sono delle eccezioni, ma, purtroppo, restano tali. Mi riferisco a quei docenti, che fanno il loro dovere, informano e formano gli studenti con passione e competenza, si aggiornano, collaborano tra di loro e vivono il loro servizio, tra tante difficoltà.
Sono pochi. I più sono demotivati, tirano a campare, fanno danno alle nuove generazioni, spesso si interessano più a denaro e potere che altro, truccano concorsi e instaurano dinastie familiari. Da non dimenticare lo scandalo dei docenti “3 P più 1”: quelli che fanno i Professionisti, i Presidenti di enti, i Periti e, forse, qualche volta, i Professori.
Si pensi a quei medici, commercialisti, avvocati, ingegneri, architetti dalle… mille occupazioni; ultima e facoltativa, naturalmente, quella universitaria.
Consegue che la prima riforma universitaria sia la riqualificazione della classe docente. In materia Lorenzo Milani aiuta molto, almeno in due riferimenti.
Il primo. Milani ha aiuta a vivere il ruolo di docente come chi “nutre” i suoi studenti con le parole.
Per “nutrire” l’altro con la parola è prima di tutto necessario aver fatto esperienza di essa, averne sofferto e vagliato nel proprio studio e nella prassi di vita il suo spessore; esser stati alla scuola d’essa, alunni prima ancora che maestri, cosa non così ovvia.
Solo dopo aver imparato per primi ad ascoltare e a conoscere le potenzialità e i confini dalle parole, divenendone servi e figli, l’insegnare si traduce in opera creativa, diventa strumento di libertà da offrire all’altro.
Parola, realtà da governare, da custodire come dono. Oggi la scuola e l’università, sia laiche che cattoliche, si propongono troppi obiettivi, a volte dando poco spazio o dimenticando ciò che in prima istanza è importante sapere ed imparare: dominare la parola.
Don Milani scrive: “Non chiedetemi la tecnica, ma piuttosto come si deve essere per fare scuola”.
Il secondo. L’essere del docente consta fondamentalmente di tre attività: la docenza, la ricerca scientifica e il dialogo personale con gli studenti. Ovvero insegnare, studiare e incontrare. Le parole si trasmettono e si forgiano in cattedra, sui libri, nelle pubblicazioni e nei volti degli studenti con cui dialoghiamo. In tutti questi passaggi, nessuno escluso.
Milani è ben lungi dal propugnare sterilmente un ruolo di dominio intellettuale o snobbismo di classe: i docenti non sono migliori o su un gradino più alto perché sanno di più.
Sono solo operai della cultura, che con responsabilità devono far crescere gli studenti. Se non sono capaci o non vogliono fare ciò, vadano via.
E qui la politica ha una grande responsabilità nel tollerare e garantire quella casta di universitari che, altrove, dove l’università funziona, avrebbe perso da tempo il proprio ruolo.
Vittorio Bachelet è stato un mirabile esempio di docente universitario per dedizione alla parola e responsabilità professionale, elementi che ha testimoniato nelle istituzioni fino al sacrificio di sé.
Condividiamo il suo sentire: “Formiamo i giovani alla responsabilità, alla saggezza, al coraggio e, naturalmente alla giustizia. In particolare dovrà coltivarsi nei giovani la virtù della prudenza. È la prudenza che aiuta a evitare di confondere l’essenziale e il rinunciabile, il desiderabile e il possibile, che aiuta a valutare i dati di fatto in cui l’azione deve svolgersi, e consente il realismo più efficace nella coerenza dei valori ideali”.