Pregiudizi e immaturità, di Rocco D'Ambrosio
In più articoli di questo numero si cerca di spiegare cosa sia il pregiudizio e quanto sia pericoloso non tenerlo sotto controllo, del resto abbiamo dedicato questo numero a Enzo Tortora perché crediamo che una linea pericolosa leghi pregiudizio, calunnia, cattiveria e danno agli altri.
Se il pregiudizio appartiene a un nostro modo di essere, né maturo, né etico, dobbiamo imparare a riconoscere dove e quando nasce dentro di noi, per poterlo controllare e, se possibile, sradicare.
Tuttavia sradicare i pregiudizi dal nostro modo di essere e agire non è facile. Perché? Perché è più semplice vivere di slogan, di opinioni diffuse quanto infondate, adottare criteri etici giustificatori dell’andazzo globale.
È molto più difficile pensare, riflettere, meditare, valutare le nostre azioni, dare ragione di ciò che crediamo bene o male.
La lezione è quella di sempre. Per evitare la retorica va riproposta nella sua interezza, senza commenti. Ne accolgo due, quella classica e quella giudaicocristiana.
La prima. Scrive Aristotele: “Posto che noi siamo stati generati conformemente a natura, è allora anche chiaro che esistiamo per
pensare e imparare”. Il fine della nostra vita non è espresso con giri
di parole o frasi a effetto, ma con due verbi densi di significato:
pensare e imparare. E il pensare e l’imparare devono diventare una
passione, un amore forte.
Molti, purtroppo, non sono amici (filos) della saggezza (sophia), cioè filosofi, ma sono seguaci dell’opinione (doxa), cioè del pregiudizio, della
superficialità, di tutto quello che è così lontano dalla verità. E con
questi fanno male a se stessi e agli altri.
Infatti, solo il pensare e imparare autentici portano al bene,
alla felicità. Tutto nella vita ha come fine il bene-felicità, anche il
pensare e l’imparare.
In quest’ottica, per Aristotele, non basta dire quello che siamo, va detto anche ciò che dobbiamo fare, cioè come ci dobbiamo comportare.
Per cui possiamo porre su una stessa linea vivere – pensare – (fare) il bene.
Il fare il bene, in maniera stabile e non occasionale, cioè in maniera
abituale, Aristotele lo chiama virtù e la virtù è proprio un abito, un modo usuale di fare il bene, oserei dire connaturale, come è connaturale l’indossare un abito, cioè un qualcosa che ci appartiene per scelta, per convinzione, per abitudine, per cultura, per convenienza e così via.
Allora la direttrice dell’argomentare aristotelico diviene la seguente: vita -
pensiero - virtù. Altro che pregiudizi!
La seconda. Il salmo 37 afferma: “Sta lontano dal male e fa il bene,
e avrai sempre una casa”.
Star lontani dal male vuol dire... star lontani! Vuol dire fare scelte chiare e
precise, correndo i relativi rischi e pagandone i relativi costi.
Vuol dire esprimere una parola chiara e forte su quegli spazi e relazioni
che non portano frutti di vita eterna, ma corruzione, gelosie, pregiudizi,
invidie, calunnie, cattiverie (cfr. Gal 5,19-23).
Vuol dire credere che la via del bene è l’unica e sola per “possedere la terra”(vv. 9-11), “godere di una grande pace” (v. 11); “non essere
confusi” (v. 19).
Vuol dire ricordarci costantemente, specie in una società multietnica come la nostra, che “l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1 Sam 16, 7).
Ci auguriamo di poter dire di noi stessi, quanto la figlia di Tortora
ha imparato dal suo papà, cioè a essere rigorosa e a non giudicare mai gli altri da quello che si sente dire di loro, a non dare dei giudizi affrettati, a non lanciarsi contro una persona perché ci può essere epidermicamente antipatica, sostanzialmente a conservare la propria
dignità anche se gli altri vorrebbero che tu fossi diverso da quello che sei.
Editoriale del giornale Cercasi un fine n.92 sul tema Il pregiudizio