PIL o PIF?, di Ernesto Lupis
Millenovecentosettantacinque miliardi, all’incirca, è la stima del debito pubblico Italiano mentre 120,5 % è la stima del rapporto Debito /Pil. Il nostro debito cresce al ritmo di 282 milioni di euro al giorno e ad ognuno di noi tocca un debito pubblico procapite di circa trentaduemila euro. Nonostante rigore ed equità gli indicatori di consenso espressi a livello interno e internazionale convergono su una previsione di caduta del Pil per l'anno in corso che si colloca tra il 2 e il 2,5%, che secondo gli analisti comporterà un ulteriore aumento del rapporto Debito/PIL ed una riduzione del benessere della nazione. Benessere della nazione in quanto nelle università, in televisione, sui giornali ed anche in radio gli economisti associano sempre il benessere e la felicità della nazione al famigerato PIL. I manuali di economia descrivono il PIL come il valore totale dei beni e servizi prodotti in un Paese in un certo intervallo di tempo, e destinati al consumo dell'acquirente finale, agli investimenti ed alle esportazioni. Per essere felici dunque dobbiamo realmente avere un PIL in crescita? E se fosse vero dunque in Italia dovremmo rassegnarci all’infelicità e svegliarci ogni mattina ringraziando il PIL del nostro cattivo umore? In realtà il PIL è un indicatore di benessere impuro in quanto non può misurare le attività ove non vi è senza scambio di moneta. Gli affetti, i sentimenti, il volontariato, lo sport, l’amore non possono essere misurati dal PIL. Secondo il criterio del PIL se uso l’automobile, dunque inquino, spendo del denaro, perdo ore nel traffico, dovrei essere felice perché contribuisco alla crescita del Pil. Se di contro uso la bicicletta che non inquina, non mi fa spendere del denaro, che contribuisce alla mia forma fisica e mi fa risparmiare del tempo, non sto contribuendo alla crescita del PIL. E se dunque l’equazione PIL = BENESSERE= FELICITA’ fosse una regola sempre vera dovrei essere sempre infelice quando il PIL non cresce? Paradossalmente anche morire contribuisce alla crescita del PIL? Ma non credo che la morte sia motivo di felicità per il genere umano. Ed allora forse dovremmo cominciare a parlare di PIF ovvero prodotto interno di felicità e misurare anche la attività non regolate dal denaro per stabilire la FELICITA’ di una nazione. Ma sarà vero? Di certo la cinica economia non ha spazio per il PIF ed allora la mattina quando mi sveglio prima di capire se sono felice o triste mi converrà leggere la pagina di economia.
Ernesto Lupis [redazione CuF]