La solidarietà a breve o lungo termine, di Rocco D'Ambrosio
Sono molto belle le immagini di Avetrana: tutto il paese si mobilita per dare da mangiare ai 70 migranti sbarcati all'alba; amministrazione comunale, cittadini e commercianti forniscono pasti caldi e abiti. Sono belle perché non sono solo l’orgoglio di una Città o Regione, ma sono l’orgoglio di un Paese, che in Europa è diventato molto noto per razzismo e individualismo di gruppo. Ma l’Italia non è solo porti chiusi e migranti perseguitati. Molti fatti dimostrano che l’Italia è anche accoglienza, solidarietà, generosità. In una parola: umanità. Quell’umanità che vien prima di tutti i distinguo politici, economici, penali, culturali. Quell’umanità che diversi hanno perso; non importa se ministri della Repubblica, pastori cattolici, docenti, educatori, genitori, anziani o giovani, semplici cittadini.
A pensarci bene non c’è niente di eroico o straordinario nel soccorrere dei profughi; come non c’è niente di eccezionale nel fatto che il vicesindaco Scarciglia e il consigliere (di opposizione) Micelli abbiano organizzato la prima accoglienza. Dovrebbe essere tutto normale. Tuttavia non lo è perché il nostro Paese, culturalmente e politicamente, non è più normale da parecchio. Allora il gesto emerge e si connota addirittura come segno in controtendenza. Ma è bene che la sua eccezionalità resti tale per poco, pochissimo tempo e la nostra terra pugliese, il nostro Paese riprendano la normalità della solidarietà, nascosta e quotidiana.
Ogni volta che si fotografa la solidarietà italiana ci si ritrova con dei dati che graficamente, si direbbe, sono a “macchia di leopardo”. Le macchie oscure, nere sono il frutto di una cultura gretta, razzista, spesso fascista, oppure sono la conseguenza del dominio del pensiero unico liberista che riduce tutti e tutto a mercato, consumi e interessi materiali. Le macchie bianche sono Avetrana dell’altro giorno, il volontariato, le ONG, le varie associazioni, le Caritas locali e tanto altro: quantitativamente piccolo, ma qualitativamente notevole.
Quella delle mobilitazioni cittadine, diversamente dal lavoro dei volontari abituali, è una solidarietà generosa, di origine cristiana, ma spesso solo istintiva e poco educata. Spesso sembra che si esprima per lo più nell’emergenza (calamità naturali, profughi), mentre fa sempre più fatica a resistere nel mondo del lavoro, nei sindacati, nelle comunità religiose, nei rapporti informali. Qui si sente di più la crisi e le macchie di leopardo diventano facilmente nere. Molto sospetto e borghesismo segna questi mondi: poca solidarietà e parecchia chiusura. Ma perché resiste la solidarietà da “pronto soccorso”?
Un tentativo di risposta potrebbe essere il fatto che le emergenze offrono itinerari di solidarietà meno retorici, più concreti e fattivi, immediati e gratificanti. Infatti il mondo dei volontari, laici o cristiani che siano, rappresenta non la maggioranza della nostra popolazione, ma una minoranza qualificata e tenace. Le loro convinzioni e le loro attività, dall’ambiente socio-sanitario alle emergenze come il terremoto o l’arrivo di stranieri sulle coste, sono la loro forza. E di fatto essi sono gli eredi del solidarismo. Il resto della società italiana tout court, è forse molto più chiusa e egoista di quello che sembra, anche qui a Sud.
Tutto ciò ci riporta a sottolineare con forza come il valore della solidarietà vada alimentato continuamente con processi formativi seri, in tutte le agenzie educative. Ciò non è una pia raccomandazione ma un obbligo etico e costituzionale, cristiano per chi ci crede: la nostra Carta Costituzionaleparla, infatti, di “dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2) e impegna tutti a tutelare «la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” (art. 32). A chi sbarca non si sbattono sul muso rosari o spianano fucili. Si tendono le mani per accogliere e proteggere. Lo esige l’umanità, lo richiede la Costituzione, lo fa la gente di cuore grande e di mente sana del nostro Paese.
Rocco D'Ambrosio
fonte Repubblica Bari del 4 maggio 2019, p. 8.