La politica e i padreterni, di Rocco D'Ambrosio
Sono stato molto colpito da un passaggio di una intercettazione, sulle ultime vicende regionali, riportata ieri: "Alla Regione hanno appaltato il servizio di contabilità, Emiliano ci ha detto "preparate dieci nominativi"... Per cui, vai a fare l'impiegato, con la clausola sociale che si è dipendenti della Regione. Il padre eterno ti vuole bene a te... ". Ci mancava pure questo: la presunta benedizione divina per un affare che tanto pulito non sembrerebbe (con tutte le cautele e i distinguo del momento, a indagini in corso). Eppure la frase merita un’attenzione particolare. La politica ha sempre bisogno di un padreterno che le faccia da guida: se tutto va bene, la sovranità popolare, la legge, la fede cristiana e/o la Costituzione oppure, se tutto va male, il denaro, il consenso, l’io autoreferenziale, le mafie o le combriccole corrotte.
E non ci sono solo le presunte divinità politiche; ci sono i relativi adoratori: coloro che si inginocchiano per chiedere grazie (genitori, amici, galoppini elettorali), ci sono coloro che aiutano il sistema corrotto, nelle istituzioni pubbliche e nelle aziende private, c’è una cultura diffusa illegale che, come humus, aiuta il cattivo sistema. E non ci sono divinità senza adoratori, di tutti i tipi, che alimentano questo tipo di potere .
Tutto ciò genera persone che credono di essere al di sopra di tutto e di tutti: coscienza, Padreterno (quello vero), Costituzione, leggi, sovranità popolare, cittadini e cosi via. Si sentono e agiscono come divinità imbattibili. Se non fossero pericolosi e dannosi, a dir poco, sarebbero solo ridicoli.
I Padri Costituenti insegnano (art. 54) che fa tra i doveri dei cittadini comuni e quelli che spettano ai pubblici funzionari è evidente una differenza: i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e rispettare le leggi. Ai pubblici funzionari non basta: rispettare le leggi ed essere fedeli è già insito nel loro status di cittadini. A loro è richiesto qualcosa in più: adempiere le funzioni con “disciplina ed onore”. La disciplina è un livello più alto di un semplice rispetto delle leggi, equivale a dire “rispetto rigoroso” e richiama addirittura il concetto di “obbedienza”, qualcosa di più profondo della semplice osservanza. E il giuramento, richiesto, richiama a una sacralità della funzione, che purtroppo si è persa, esattamente come si è perso qualsiasi riferimento a quell’altro valore, che l’art. 54 richiama: l’onore.
Si tratta di passaggi logici semplici e lineari. Non occorre essere giuristi e costituzionalisti per comprendere che non essere “fedeli alla Repubblica”, non “osservare la Costituzione e le leggi”, non “adempierle con disciplina ed onore”, non assicurare “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” (art. 97) si traduce nel tradimento del più fondamentale principio democratico, quello dell’uguaglianza. E, dunque, un Paese che non assicura il buon andamento dell’amministrazione e non pratica l’imparzialità è un Paese ancor lontano dall’essere veramente democratico. Nelle parole di Gherardo Colombo: “Il danno più grave causato da Tangentopoli credo risieda nel continuo stravolgimento delle regole, nel tradimento della loro funzione, nell’affermarsi di una cultura fondata sul privilegio, sulla sopraffazione. E che quindi ostacola l’attuazione della democrazia”.
fonte: la Repubblica-Bari, del 2.11.2019, p. 3