La nuova sfida, di Emanuele Carrieri
Un tempo la cultura si legava alle arti, al ceto colto, nell’epoca attuale, quando si parla di cultura, non si intende, invece, obbligatoriamente la cultura somma.
Può essere cultura anche un banale manufatto che rinvia a un preciso periodo storico e sociale, in cui è stato pensato, costruito, adoperato. Nel nostro tempo, è evidente un allargamento del concetto di cultura, l’insistenza sul fatto che ogni cultura ha una sua storia e una sua dignità e che va accettata su un piano paritario con quelle tradizionalmente più consolidate. Non più cultura intesa esclusivamente come arte, diritto, letteratura o filosofia, ma anche come vita quotidiana; ed è a partire da questa nuova angolazione che si è avuta una riconsiderazione, accanto alle culture fondate sulla scrittura, delle culture basate, invece, sull’oralità.
Si è capito che il mondo non è contenuto nelle frontiere dell’Occidente e comprenderlo vuol dire conoscere costumi e abitudini, abilità diverse. Ma una cosa è saperlo intellettualmente, altro è mettersi in movimento in base a questa convinzione, renderla viva, operante.
La cultura non è connaturata: la si apprende con l’educazione, attraverso l’esempio e con l’esperienza. Ci si adatta, in genere, alle richieste della società in cui si vive: si apprende la lingua, le abilità fondamentali, i modelli di comportamento, i segni, i simboli, i significati condivisi.
Crescendo all’interno di una cultura, si tende facilmente ad assolutizzare quanto appreso, a immaginare che i modelli culturali, i simboli e i valori propri siano normali e che non lo siano quelli di altri. E, in effetti, il confronto internazionale che deriva dai processi di globalizzazione e dalle migrazioni non è certo semplice: facilmente si nutrono preconcetti, si interiorizzano stereotipi negativi riguardo alle altre culture, che, a loro volta, possono ripagare della stessa moneta, generalizzando in modo indebito.
Ma se è vero che esistono differenze, è anche vero che possono esistere assonanze, analogie e che vivere in un mondo in cui esistono più culture può essere più stimolante che non vivere in un contesto monoculturale, sempre che si sia disponibili al confronto, che non ci si arrocchi preventivamente sulla pretesa di un inesistente primato o di una supposta superiorità culturale, che si sia disponibili a mettere in dubbio la posizione etnocentrica che ha caratterizzato larga parte del nostro passato.
Riconoscere che le culture sono tante, che hanno svolto una certa funzione, che deve essere riconosciuta loro dignità, diritto all’esistenza, non è facile. È vero che esistono, ancora oggi, culture egemoniche e culture subalterne. Ma perché? Perché il potere è ancora oggi e forse oggi più che mai, una merce rara, nelle mani di pochi. Chi non ha in mano le leve economiche del potere è escluso dalla fruizione di certi beni culturali, di certi modi di vita, viene spinto ai margini della storia: ma non si tratta di un dato naturale; le cause sono politiche e sociali.
Siamo in un contesto in cui vivono insieme diverse culture, alcune, millenarie, come quelle indiana o cinese, che in Italia sono poco conosciute e non si comprende che conoscere diverse culture, avere occasioni di confronto equivale ad avere maggiori occasioni di arricchimento, di crescita. Si cerca di respingere le culture altre, come ci fosse da difendere una supposta, monolitica e incerta cultura italiana: ma non siamo noi tutti il derivato di complesse vicende storiche e geografiche che hanno portato sul nostro territorio genti di paesi lontani e diversi, fin dall’epoca preromana?
La sfida di oggi consiste proprio nel sapere aprirsi al confronto con altre culture, dando vita a realtà sociali più ricche, in grado di valorizzare e trasmettere valori, modelli, capacità, abilità alle nuove generazioni.
[lavoratore dello Stato, redazione Cuf, Taranto]