Joker o sul convertire la rabbia, di Matteo Losapio
Il film “Joker” di Todd Philips racconta la genesi dell’omonimo personaggio dei fumetti. Per chi si aspettava di trovare il famoso e storico antagonista di Batman, ecco che l’aspettativa viene quasi subito elusa e superata. Infatti, Joker non è semplicemente un film su uno dei personaggi più cattivi della storia dei fumetti e del cinema, ma è la storia dell’abisso che ciascuno di noi si porta dentro. Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) è un attore comico che vaga per i sobborghi di Gotham City. Una città colma di spazzatura, con gravi problemi di gestione e di governance, ma soprattutto con ampie periferie abbandonate a se stesse, dove la violenza sembra essere l’unica maniera per farsi ascoltare. Grandi palazzi anonimi, che durante il film emergono continuamente sia dall’esterno che dall’interno. Scene di treni che viaggiano al centro di una città che ci fa sentire profondamente piccoli, ma anche ascensori luridi e per nulla curati che dicono una situazione di degrado e di disperazione celata dietro ogni porta dello stabile. In questa città vive Fleck o, meglio, cerca di sopravvivere facendo il clown per un’agenzia dei sobborghi di Gotham, la quale galleggia nel mare della crisi economica, in mezzo a tante piccole imprese che stanno pian piano fallendo. La disperazione e le ingiustizie che subisce Fleck, unite ad un disturbo dell’umore, lo porteranno a covare dentro sentimenti di odio e di rabbia, ma anche un bisogno di protezione contro il male che lo circonda. Proprio difendendosi da questo male si accorge che può attirare su di sé la visibilità della gente. Dopo anni e anni di violenza invisibile, ecco che improvvisamente la sua storia diventa visibile anzi, diventa un simbolo della protesta delle classi sociali più povere contro le più ricche. La sua faccia da clown, seppur nessuno sappia chi egli sia, diventa la bandiera di ogni scontento, la possibilità di un eccesso di violenza contro i privilegiati. L’onda cresce e l’obiettivo si allarga, fino a coinvolgere in un turbine di delirio e di violenza tutte le relazioni che appartengono a Fleck nella sua vita. Tutte quelle persone che hanno preso parte alla sua vita dalla madre agli amici, dal presentatore televisivo a Thomas Wayne, padre del più famoso Bruce, futuro Batman, verranno coinvolte in un vortice di violenza sadica, dove il riso e la brutalità si confondono e si contaminano. Tutti coinvolti in una danza interpretata da Fleck, divenuto ormai Joker, un uomo molto più sicuro di sé, che non ha più nulla da perdere, che gode nell’uccidere, che non ha più alcun risentimento o desiderio di pietà.
L'ultima scena, in particolare, fa emergere tutto il senso di una rabbia taciuta e nascosta dietro una faccia sempre felice. Rabbia personale, esistenziale, culturale e sociale si legano insieme fino ad esplodere in un colpo di pistola, in un gesto catartico e violento. La dinamica del nostro Joker interiore è in questo accumulo di tensioni e conflitti inespressi che suscitano rabbia. Il problema, allora, è non vedere la rabbia e non evadere la rabbia ma il come poterla gestire. Sappiamo bene come la rabbia inespressa, spesso sfoci in episodi di bullismo, disagio, tossicodipendenza, come anche in varie forme di violenza nei propri confronti (basti pensare all'autolesionismo) o ad episodi di violenza nei confronti degli altri (body shaming, catcalling, haters, stalker). Si tratta di una rabbia invasiva e pervasiva da cui non possiamo esimerci e in cui siamo tutti coinvolti. Per utilizzare, le parole di Gesù, possiamo affermare che non riguarda solo le vittime, coloro che sono morti sotto il controllo della torre di Siloe o coloro che sono stati uccisi dai soldati. La violenza e la gestione della rabbia riguarda tutti noi. Allora, ci chiediamo la rabbia può portare frutto? O si tratta solo di un'emozione da evitare in quanto non porta a nulla?
In una sua Lettera al vescovo Castore, Cassiano scrive:
Dell'ira noi ci serviamo secondo natura soltanto quando la muoviamo contro i pensieri passionali e voluttuosi. È così che ci insegna il profeta quando dice: irritativi e non peccate, cioè: muovetevi ad ira contro le vostre passioni e contro i pensieri cattivi, e non peccate col portare a compimento ciò che essi suggeriscono. Questo senso è reso manifesto da ciò che si aggiunge: di ciò che usate dire nei vostri cuori, muovetevi a compunzione sui vostri giacigli. Cioè, quando vengono al vostro cuore cattivi pensieri, rigettati di, mediante lira contro di loro E, dopo averli rigettati, trovandomi in qualche modo come su un giaciglio in cui l'anima riposa allora siate nella compunzione per convertirvi. Anche il beato Paolo parla in questa linea, si serve della testimonianza del profeta e aggiunge: il sole non tramonti sul vostro sdegno e non date spazio al diavolo, cioè fate in modo che il sole di giustizia, il Cristo, non Tramonti nei vostri cuori, per averlo voi mosso a sdegno col consenso dato ai pensieri malvagi: e non accada che, allontanandosi lui, trovi posto in voi il diavolo. Riguardo a questo sole Dio così parla mediante il profeta: per chi teme il mio nome sorgerà il sole di giustizia: e la guarigione sarà nelle sue ali. Se prendiamo questo detto alla lettera, non ci è consentito conservare l’ira neppure fino al tramonto del sole. Certuni, per l'asprezza e la follia di questo stato passionale, conservano l’ira non solo fino al tramonto di questo sole, ma anzi, la protraggono anche per più giorni e, pur tacendo l'uno con l'altro e non giungendo ancora ad esprimerla a parole, alimentano tuttavia a propria rovina il veleno del rancore con il loro silenzio. Ignorano come non solo ci si debba trattenere dall'ira che si manifesta negli atti, ma anche da quella che si manifesta nel pensiero: perché non accada che l'intelletto, oscurato dalla tenebra del rancore, decada dalla luce della conoscenza e del discernimento e chi ha privato della inabitazione dello Spirito Santo. [Cassiano Romano, Al vescovo Castore, in Filocalia, Vol. 1, Gribaudi, Milano 1983, p. 141-142.]
Il problema della rabbia, allora, non è la rabbia in sé, ma verso chi è rivolta. La vita spirituale ci aiuta a riconoscere la nostra rabbia, verso chi è rivolta, perché. Fino a dargli un nome. Come con Joker, la rabbia ci permette di conoscere meglio noi stessi. Ma al contrario del Joker, nello Spirito la rabbia diviene occasione di conversione, possibilità di non seccare, nel rancore, fino alle radici e di generare frutti di bontà e bellezza.