Il presepe, forma di annuncio urbano, di Matteo Losapio
In questi giorni mi sono fermato molte volte a guardare il presepe. Una delle maggiori tradizioni, in perfetto stile Made in Italy, è proprio l’allestimento, attraverso statuette, case, strade, laghi, della nascita di Gesù. Anche papa Francesco ci ha ricordato, proprio prima del Natale, di continuare questa tradizione del presepe nelle case. Eppure, a mio modesto parere, non abbiamo ancora capito fino in fondo lo spessore di questa tradizione, la sua forza prorompente di annuncio e di denuncia.
Se guardiamo attentamente il presepe, infatti, ci accorgiamo che, seppur nelle diverse scuole e nelle diverse forme, ciò che viene allestita è una città. Case, strade, oggetti d’uso quotidiano, lavori, lampioni, luci che si accendono e si spengono per simulare il giorno e la notte. Tante e tante piccole accortezze per rendere l’immagine di una città, dove tutti sono indaffarati, dove tutti hanno qualcosa a che fare, dove nessuno è senza far nulla, a parte il classico dormiente. Se provassimo a chiudere gli occhi e ad immaginare cosa stesse accadendo all’interno del presepe, ascolteremmo voci, suoni, rumori, risa, sghignazzi e grida. Mentre da una parte, nel silenzio e nell’indifferenza di tutti, ecco che nasce Gesù. In un luogo che, per quanto centrale possa essere nella mappatura del presepe, rimane sempre e comunque un luogo ai margini. L’attenzione di tutti i personaggi del presepe, infatti, non è rivolta verso questo evento che, per noi cristiani, caratterizza il centro fondante di tutta la storia. Eppure il centro del presepe non è Gesù, ed è questo, in realtà, il grande scandalo del presepe. Perché l’evento centrale della nostra salvezza non viene vissuto da tutti allo stesso modo, anzi, la maggior parte delle persone sembra guardare a questo evento con una certa dose di indifferenza, tutti presi dalle loro faccende, tutti persi all’interno della città.
Se a tutto questo aggiungiamo, poi, il racconto evangelico della nascita di Gesù, ci accorgiamo che Maria è costretta a partorire in una stalla, la quale, per quanto possiamo addolcirla, rimane sempre e comunque un luogo in cui nessuna donna avrebbe partorito, in cui nessuno di noi avrebbe permesso che nascesse il Salvatore. Mentre Gesù è nato proprio così, nell’indifferenza più assoluta di una città che aveva da fare, di una città fatta di abitanti che non si accorgono della storia che li passa accanto perché troppo impegnati, troppo schiacciati dalle loro cose da fare. Inoltre, se al racconto evangelico della nascita di Gesù aggiungiamo che, nelle case di Betlemme, all’epoca della nascita di Gesù, la stalla era una grotta dove riposavano gli animali ed era considerata la zona più marginale della casa stessa, la zona non vivibile, allora comprendiamo come Gesù non nasca in una umanità esaltata ma in una umanità marginale, in una zona marginale, mentre tutto il mondo continua a girare.
Il presepe, allora, è il simbolo di una città che continua a vivere della propria produzione quotidiana, che non si accorge di ciò che realmente sta avvenendo. Solo i poveri sono coloro che si accorgono della realtà e, guarda caso, sono sempre i poveri pastori che vivono fuori dalla città e che, dalla città stessa, vengono giudicati come pericolosi sia perché nomadi sia perché con i loro greggi rovinavano i campi. Il presepe, allora, non è la condanna della città per il suo immoralismo, per la sua indifferenza, anzi. Il presepe denuncia e annuncia i luoghi da cui ripartire, da cui annunciare la Bella Notizia all’interno delle città. Infatti, la città di Betlemme diviene il simbolo di tutte le città plurali, di tutte le città in cui la fede non è più assimilata come societas christiana, ma vive e si sviluppa in contesti di dialogo e di confronto. Insomma, il presepe ci annuncia una fede che vive di spiritualità, di creatività, di impegno nuovo con altre persone che non hanno il nostro stesso credo, perché Gesù stesso è nato in un contesto marginale, in un contesto plurale, in un contesto anche ostile, insomma, in un contesto urbano. Dove la fede corre e respira aria nuova, una nuova spiritualità, non più inchiodata a sterili oscurantismi tradizionalisti.
[studente di teologia, redattore CuF, socio, Bisceglie, Bari]