Il gilet arancione che è in me, di Donatella A. Rega
Non ho paura di Berlusconi in sé ma del Berlusconi che è in me, diceva Gaber molti anni fa…. Facendo luce con una sola piccola frase sulle sollecitazioni cui è sottoposta la nostra parte deteriore quando intorno a noi si sdogana il male.
In tutti noi c’è una lotta interiore tra il bene ed il male. Affinché vinca il bene dobbiamo imporci spesso regole di convivenza o scuoterci dall’apatia, dalla pigrizia, dall’incapacità di immedesimarci; altre volte dobbiamo rinunciare a qualcosa (il nostro tempo, il nostro spazio, la nostra agiatezza, il nostro denaro) per fare spazio agli altri o per aiutarli, per andar loro incontro. Se possiamo affermare che quel sano “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” segni una strada maestra del bene, figuriamoci cosa può produrre l’esortazione ad amare che è una specie di passaporto per la pace interiore.
Ma sono quelle regole che comunque ci imponiamo e che richiedono sforzo, l’appiglio per il male.
Allora ricorderete la Casa delle Libertà, o il Popolo della Libertà, il disprezzo per chi ha le pelle di un altro colore, un censo inferiore al nostro, una cultura diversa, sono le tentazioni che quella parte che vale quattro soldi e che abbiamo dentro tira fuori inusitatamente, perché si tratta di percorsi facili che non richiedono impegno e ci sentiamo “liberi”.
Col tempo però siamo andati oltre questa fase preliminare a cavallo tra gli anni novanta ed il primo decennio del 2000.
E siamo entrati nel buio del secondo decennio del secolo nuovo. Un disordinato programma di destabilizzazione della democrazia attraverso l’arma della mistificazione che nel decennio precedente si faceva strada a fatica perché ancora c’era il ricordo di una coscienza politica, delle conquiste democratiche. Ma nel secondo decennio si riversa nella comunicazione social e mediatica una massa di pseudo verità che capovolgono il senso di tutte le conquiste sociali realizzate dal secondo dopoguerra in poi, passando attraverso il ’68.
Un vero e proprio revisionismo storico che abbatte tutte le certezze del cosiddetto uomo della strada. L’Unità d’Italia un imbroglio ed un ladrocinio dei Savoia, e sembra si voglia dire qualcosa a chi vorrebbe la Padania indipendente, contrapponendole un Sud borbonico dalla storia gloriosa e fondamentalmente più avanzato del Nord. Vero, sì, ma lo scopo adesso è dividere, il senso è lo stesso, da una parte e dall’altra. L’Italia è fatta da un secolo e mezzo ormai e, diciamolo, quei giovani che furono mandati a morire sul Massiccio del Grappa morirono credendoci e gridando “Savoia” anche se si trattava di contadini pugliesi.
Almeno per rispetto nei loro confronti, e per rispetto verso chi resistette, molti anni dopo, ai nazisti e fascisti da semplice cittadino, da militare, da carabiniere o da sacerdote, non se ne dovrebbe parlare più. L’Italia unita c’è, e quell’unità che servì al potere dei Savoia allora, adesso servirebbe e serve alla gente italiana che dall’unità e dal restare unita trae un bel vantaggio. Lo hanno testimoniato i anche balconi della prima fase Covid. Se restiamo uniti siamo forti.
Lo dice il Papa riferendosi alla politica internazionale. Figuriamoci cosa ne sarebbe di una singola nazione come l’Italia, se si dividesse! Allora finiamola di basare le nostre verità piccolo borghesi sullo schiavismo di Garibaldi, sulle trame demoniache del ’68, sul presunto satanismo della sinistra, tutte revisioni gettate ad hoc nei media per confondere e dividere. Il bene ed il male camminano insieme nella Storia, ma è solo il bene che fa progredire l’umanità. E di progressi ne abbiamo fatti!
Allora non lasciamoci tentare, continuiamo sulla via maestra, continuiamo a credere che uniti si va avanti, che lo straniero che bussa alla nostra porta non è un nemico, che la politica economica internazionale debba cambiare per non lasciare al palo gli ultimi della Terra. Così cambieremo in meglio il mondo. Basta guerre, basta logiche di guerra anche nella ricerca scientifica, basta con la distruzione dell’ambiente, basta asservire l’economia alle logiche di guerra, ne abbiamo abbastanza.
Ma … e i gilet arancioni? (direte voi). Ci arrivo subito. Dicono che la pandemia non esiste, che muoiono solo gli ottantenni malati…. Gli facesse schifo che in Italia, nell’Italia unita, gli ottantenni malati si curano in ospedale come qualsiasi altro essere umano.
Dov’erano i gilet arancioni quando si chiudevano gli ospedali e si tagliavano i posti letto, dov’erano quando alla Sanità Pubblica sottraevano risorse? Dov’eravamo noi, mentre ci davano da bere che Nord e Sud devono essere divisi? Dov’eravamo noi quando ci convincevano che il nostro vero problema sono gli immigrati? Ci siamo lasciati dividere, abbiamo creduto a tutto. Era il gilet arancione che è in noi. Indossiamo adesso un colore più sobrio e ricominciamo, perché adesso ce n’è bisogno.
[socia e redazione Cercasi un Fine, Monopoli, Bari]