Credo in un solo Dio, di Aurelio Carella
«Siamo impegnati in una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico», ha affermato il Patriarca di Mosca Kirill durante la Divina Liturgia del 6 marzo scorso[1]. Parole relative al «deterioramento della situazione politica nel Donbass» (perifrasi per indicare l’invasione russa dell’Ucraina), che hanno riacceso in Europa lo spettro della guerra santa. Il ricorso alle armi, sostiene Kirill, è una difesa per il popolo dall’imposizione di costumi contrari ai comandamenti divini. Le sue affermazioni sono in netto contrasto con il genuino messaggio evangelico, eppure non sono aliene dalla diffusa narrazione che vede nella guerra in corso uno scontro etico ed epico tra civiltà, portatrici di fedi e valori inconciliabili. Nel XXI secolo il potere e il sacro tornano dunque a sovrapporsi e confondersi in maniera pericolosa, con conseguenze gravissime in termini di comprensione autentica della politica e della fede, oltre che di vite umane. Occorre rassegnarsi alla considerazione che riconoscere il proprio Dio come unico significhi annientare l’altro? Per quanto concerne la rivelazione biblica, un’altra via è possibile. La fede nel solo Dio che è «Padre di tutti» (Ef 4,6) non può che portare all’unità della famiglia umana.
Il tema in questione è la violenza politica nella storia sacra, una problematica che coinvolge più discipline – dall’esegesi alla storia delle religioni, dalla filosofia alla teologia – e richiede in primo luogo una chiarificazione ermeneutica: come leggiamo la Scrittura? Il Concilio Vaticano II opera una scelta di campo, quella della pedagogia e progressività della rivelazione (Dei Verbum 15). In questa prospettiva il cammino che dall’antica alleanza conduce alla persona di Cristo è fatto da mediazioni storiche, cosicché episodi quali la conquista di Gerico, o le imprese sanguinarie di Elia, risultano esperienze di fede nell’unico Dio tanto appassionate e autentiche quanto incomplete e parziali. Non si tratta pertanto di epurare l’Antico Testamento dai suoi tratti arcaici e sacrali – si cadrebbe nell’antica eresia marcionita, che distingue un Dio vendicativo e geloso da uno buono e misericordioso – bensì di scorgere la dinamica evolutiva che esso stesso dischiude. Si pensi a tal proposito alla considerazione della monarchia nei libri storici: da Saul, a Davide e Salomone, i sovrani sono consacrati che regnano e combattono nel nome del Signore, ma è Dio stesso a smascherarli, per bocca dei profeti, quando commettono gravi abusi di potere.
Ancora più illuminante, in merito alla ricomprensione della violenza religiosa, è la vicenda dei Maccabei, il clan ebraico che nel II sec. a.C. si ribellò alla dominazione di Antioco Epifane, sovrano greco fautore di una feroce repressione del culto locale. Dopo una tradizionale rivolta armata, guidata da Mattatia e Giuda Maccabeo, irruppe un evento inedito, il martirio, espressione non-violenta di riaffermazione del monoteismo. Si narra infatti dell’anziano Eleazaro e di un’intera famiglia giudea osservante (sette fratelli con la loro madre) i quali, sottoposti a crudeli torture, irridevano il sovrano e la sua pretesa di farsi padrone della vita e della morte, riconoscendo invece l’unica signoria di Dio, non riducibile ad alcun regno umano.
Il martirio costituisce la cifra della rivelazione cristiana, la modalità rivoluzionaria con cui Gesù ha dissolto il male: la croce è testimonianza del Dio della pace, in quanto assorbe e rimuove, annichilendola, la violenza e l’intolleranza già in atto. La memoria del sacrificio di Cristo divenne sorgente di pace già per le prime comunità cristiane, attraversate dalla rivalità tra due gruppi, i credenti provenienti dal giudaismo e i pagani convertiti. San Paolo dichiara con fermezza che «Cristo è la nostra pace» e ha «abbattuto il muro di separazione» (Ef 2,14-16), adoperando un’immagine estremamente plastica: non ha più senso di esistere il muro che nel tempio di Gerusalemme delimitava l’area riservata agli Ebrei e con esso perdono legittimità tutte le barriere, a partire da quelle erette in nome di Dio[2].
Queste considerazioni sulla Scrittura conducono a una consapevolezza teologica, ossia che la genesi della violenza sacra si rintraccia nella pretesa di confinare il nome di Dio, disconoscendo che le tappe della storia della salvezza aprono la strada all’universalità del dono d’amore. Si giunge in tal mondo a professare un unico Dio che divide invece di unire. I Padri della Chiesa antica, tanto orientale quanto occidentale, avevano ben chiara questa consapevolezza: autori come Atanasio e Agostino approfondirono il dogma trinitario, per il quale non esiste unità di Dio senza comunione e relazione, contestando l’eresia monarchiana, che esaltava l’unità solitaria del Padre e prestava il fianco al dispotismo degli imperatori.
Tornando ai nostri giorni, questa ricca eredità spirituale è stata recuperata da un gruppo di teologi ortodossi, in una dichiarazione[3] che si oppone apertamente alle tesi del patriarca Kirill e all’operato del presidente Putin. Essi contestano l’ideologia totalitaria del “mondo russo”, ribadendo che il Regno di Dio trascende la storia e la Chiesa non può essere asservita ad alcuna forma di governo. Nessuna identità etnica o culturale, sostengono i teologi, è superiore ad un’altra e le divisioni dell’umanità, caratteristiche del mondo imperfetto e peccaminoso, possono essere riconciliate esclusivamente nel sacrificio di Cristo e nella ricerca attiva e non violenta del vincolo della pace.
[1] Il testo originale dell’omelia è riportato sul sito del Patriarcato di Mosca (www.patriarchia.ru/db/text/5906442.html), mentre una traduzione in italiano è reperibile sul blog dello storico Franco Cardini (www.francocardini.it/minima-cardiniana-369-4/#more-3589), ultima consultazione per entrambi i siti il 6/5/2022.
[2] L’argomentazione qui espressa riprende in maniera sintetica le analisi della Commissione Teologica Internazionale nel documento Dio trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza (2014).
[3] Una dichiarazione sull’ideologia del “mondo russo”(“Ruskii mir”), 13/3/2022, pubblicata sul sito dell’Orthodox Christian Studies Center of Fordham University (https://publicorthodoxy.org/wp-content/uploads/2022/03/Una-dichiarazione-dei-teologi-ortodossi-sul-russkij-mir.pdf, consultato il 9/5/2022)
[Presbitero della Diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie]