La solitudine dell’arbitro al Colle, di Marzio Breda

Ha condannato infinite volte l’invasione dell’Ucraina e, il giorno in cui ha tracciato un parallelo tra la logica del Cremlino e il «criterio della dominazione» del Terzo Reich hitleriano, con il conseguente attacco di Mosca, la solidarietà politica che ha raccolto è stata unanime. Con la prevedibile eccezione di Salvini, rimasto in silenzio. Ha richiamato l’urgenza della pace in Medio Oriente a partire dalla «pagina turpe del 7 ottobre 2023», con l’attacco di Hamas seguito dall’uccisione — «oltre i confini dell’umanità» — di 66 mila palestinesi da parte di Israele, sollecitando «l’obiettivo dei due Stati per due popoli», e ha sentito dire dal governo che «i tempi non sono maturi», forse in attesa di quanto deciderà Trump. Quando ha esortato la Flotilla a fermare il viaggio verso Gaza e ad accettare la mediazione vaticana, Elly Schlein se la cavò ignorando per 24 ore l’appello. La segretaria del Pd rimase interdetta anche dopo che lui aveva lanciato l’allarme sul ritorno, proprio a causa di quella tragedia, di un «antisemitismo fondato sull’imbecillità». E lo stesso broncio mostrò sulle ipotesi di riarmo dell’Europa.
Sono parecchi gli esempi di come Sergio Mattarella frustra da mesi le tifoserie politiche di casa nostra. È un destino comune per chi esercita il suo ruolo, specie in una stagione esasperata da leaderismi e personalizzazioni. Lo spiegò bene il giurista Giuseppe Guarino: le opposizioni vorrebbero che il presidente della Repubblica faccia da freno al potere della maggioranza e gli inquilini di Palazzo Chigi che sia tra i partigiani dell’esecutivo.
Di qui le intermittenti dissonanze, sofismi, differenze d’accenti che rimbalzano da destra a sinistra davanti alla nettezza con cui Mattarella si esprime nei momenti duri, con dichiarazioni tutt’altro che formali. Senza preoccuparsi di inflazionare il messaggio o di compiacere qualche famiglia politica, mentre interviene su verità scomode. Ciò che ne fa una figura equanime e sempre più centrale nella nostra vita pubblica e, sì, a tratti chiusa nella propria solitudine, visto che non si può dire che parteggi per qualcuno. Una prova? Il fatto che nessuno, oltre a lui, s’impegni davvero nella difesa della Costituzione.
Nella storia repubblicana si è evocato spesso il «partito del Quirinale», alludendo alla rete di protezione che le forze politiche (non tutte, beninteso) allargano a tutela dei capi dello Stato nelle fasi convulse del confronto pubblico. Parlarne è però una contraddizione in termini, un’antinomia, perché gli inquilini di quel palazzo devono per statuto essere estranei e al di sopra dei partiti. Infatti, al loro insediamento di solito restituiscono la tessera. Per Mattarella il problema non si è mai posto: fin da subito ha avvertito che intendeva fare l’arbitro e si è mosso in tale veste, cercando di evitare che eventuali mugugni crescessero in forma di tensioni. E poi non ha alcun rovello di costruirsi il consenso, perché sa già di averlo: gli italiani glielo dimostrano a ogni uscita dal palazzo.

corriere.it/opinioni/25_ottobre_15/la-solitudine-dell-arbitro-al-colle-b77b4250-cc9b-4be8-ae96-a87e5430fxlk.shtml

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