La destra non può tacere, di Antonio Polito

Mussolini, si suole dire, ha fatto anche cose buone. E ci mancherebbe, in vent’anni di potere assoluto! Lo sanno bene anche quelli che, come me, sono nati dopo la guerra e sono diventati antifascisti negli anni ’70, quando i neofascisti mettevano bombe, infiltravano i servizi segreti e pianificavano colpi di Stato. 
Non devo infatti ricordare ai lettori del Corriere ciò che scriveva in quegli anni, proprio su questo giornale, Pierpaolo Pasolini, negli articoli poi raccolti in un volume dal titolo alquanto esplicito: «Il fascismo degli antifascisti». Né ciò che sosteneva, anche sul Corriere, lo storico Renzo De Felice, autore di una rilettura del Ventennio finalmente libera dagli stereotipi dell’antifascismo di maniera. Voglio dire che, da queste parti, siamo da tempo immunizzati contro il rischio della banalizzazione di un’epoca storica cruciale per le sorti della nazione e dell’Europa.
Se ci scandalizziamo dunque per le ultime uscite del generale Vannacci è perché lui ha passato il segno: presenta ormai infatti apertamente come buone, legali, ammissibili, anche le peggiori malefatte del fascismo, il lato orribile della dittatura, ciò che ha provocato l’immane tragedia nazionale della disfatta bellica.
 Mettendo l’Italia al servizio della barbarie hitleriana, il fascismo ne ha fatto il primo Paese nella storia a dover firmare una «resa incondizionata». Niente può cancellare questa responsabilità.
 Eppure Vannacci è ormai passato a una vera e propria apologetica del regime che merita per questo di essere combattuta, in primo luogo dalla coalizione di centrodestra che governa oggi l’Italia.
 Il metodo è quello solito, più adatto a un «paglietta» che a un militare: dire una mezza verità e non dire tutta la verità, provocare e subito dopo edulcorare, inneggiare alla X (Mas) e poi sostenere che era solo una «ics».
Per esempio: in quella che ha pomposamente autodefinito una «ripetizione di storia», il generale sostiene che la Marcia su Roma «non fu un colpo di stato, ma poco più di una manifestazione di piazza», appoggiandosi anche all’autorità di un incolpevole storico. Tace però che quei «manifestanti» erano uomini in armi, che nei due anni precedenti avevano dato vita a un’ondata di violenze senza precedenti, saccheggi e incendi, pestaggi e omicidi, e che proseguirono, una volta preso il potere, con il culmine dell’assassinio di Giacomo Matteotti. 
Un altro esempio: Vannacci dice che «tutte le principali leggi, dalla riforma elettorale del 1923 alle norme sul partito unico, fino alle stesse leggi del 1938, furono promulgate dal Re secondo le procedure». 
Notate l’autocensura: che cosa sarebbero queste «stesse leggi del 1938»? Vannacci si riferisce forse alle leggi per la difesa della razza, alla persecuzione degli ebrei italiani, a partire dai bambini cacciati dalle scuole? Perché non le chiama con il loro nome? Non è già questo uno sconto fatto a un regime la cui legislazione antisemita è stata definita da Giorgia Meloni «il punto più basso della storia italiana»?
E poi: che vuol dire che furono promulgate dal Re? È un’attenuante? Tutt’altro. Alla fine della guerra gli italiani scelsero la Repubblica e mandarono in esilio il Re esattamente perché la monarchia aveva assecondato il fascismo. Non a caso l’ultimo articolo della Costituzione, il 139, dice che «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». E la XII disposizione transitoria dice che «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». 
Dunque il fascismo, così come la monarchia, non potrà mai più tornare. E perciò il tentativo di renderlo accettabile, di rivalutarlo agli occhi non solo dei nostalgici ma, quel che è peggio, dei giovani di oggi, è una colpa grave che il governo della Repubblica italiana non può consentire, soprattutto quando è nelle mani di una destra che dichiara di aver chiuso definitivamente i conti con quel passato e ha giurato fedeltà alla Costituzione. Naturalmente Vannacci può dire quel che vuole (ovviamente entro i limiti di legge). Ma la destra di cui fa parte non può tacere, facendo finta di niente. Vannacci è il numero due di un partito di governo. Qualcuno parli, dunque, e non solo il povero ministro Crosetto. Fratelli d’Italia ha altri due autorevolissimi fondatori, la Lega ha un passato impeccabilmente antifascista. Il loro silenzio è perciò tanto più assordante. Una netta condanna sarebbe un servizio reso alla Repubblica, per proteggerne le radici antifasciste. Ce n’è sempre bisogno. Ce n’è di nuovo bisogno.

corriere.it/opinioni/25_novembre_10/la-destra-non-puo-tacere-edf0be93-eca7-4708-8f87-403c7fe65xlk.shtml

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