Senza salari dignitosi non solo non c’è crescita vera, ma viene messa a rischio anche la coesione sociale del Paese perché proprio il lavoro è stato “il motore” dello sviluppo economico, sociale e civile dell’Italia. Lavoro, dunque – e lavoro pagato in modo proporzionato, come prevede l’articolo 36 della Costituzione – fa rima non solo con dignità, ma anche con libertà e diritti. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella tocca con parole inequivocabili uno dei nodi scoperti dell’economia italiana: la questione salariale. Non è la prima volta che il Capo dello Stato ne parla ma le sue parole, pronunciate ieri al Quirinale durante l’incontro con i Maestri del lavoro, suonano forti nel giorno in cui il governo licenzia dal Consiglio dei ministri la manovra di bilancio. La questione salariale, dice Mattarella, “non si può eludere“, i salari devono tornare ad essere “lo strumento principe per ridurre le disuguaglianze“.
Certo, osserva, i dati che misurano lo stato di salute dell’economia italiana sono incoraggianti e “il trend positivo dell’occupazione mostra una società italiana in movimento dove non mancano risorse e creatività”. Ciononostante si manifestano anche “aspetti problematici ed elementi critici che vanno “regolati”. Dopo l’epidemia da Covid-19 “alla robusta crescita dell’economia non è corrisposta la difesa e l’incremento dei salari reali” mentre “risultati positivi sono stati conseguiti dagli azionisti e robusti premi hanno riguardato taluni tra i dirigenti“. Uno squilibrio che fa male a tutto il paese e che non si può ignorare. Mattarella guarda al Paese reale e vede tante famiglie che “rischiano di essere sospinte sotto la soglia della povertà nonostante il lavoro di almeno uno dei componenti” mentre, magari nella stessa azienda, “super manager godono di remunerazioni centinaia, o perfino migliaia di volte, superiori a quelle dei dipendenti delle imprese“.
Il lavoro, certo, sta cambiando, ma, avverte Mattarella, “occorre inserirsi nei cambiamenti per governarli e orientarli“. L’analisi del presidente è lucida e non fa sconti: il lavoro “oggi procede a velocità diverse“, “si creano diaframmi tra categorie, tra generazioni, tra lavoratori e lavoratrici, tra italiani e stranieri, tra territori“. Bisogna prenderne atto e farsi carico di ricucire ingiustizie e divisioni. Cita l’esempio dei contratti pirata che contemplano “vere e proprie forme di dumping contrattuale” con l’effetto “di ridurre i diritti e le tutele dei lavoratori“. E anche il lavoro da remoto, il cosiddetto smart working, vive di estremi: ai piani alti “lavoro prestigioso, appagante, ben remunerato“, ai piani bassi “forme di precarietà non desiderate, subite, talvolta oltre il limite dello sfruttamento, e di dumping contrattuale” con l’effetto “di ridurre i diritti e le tutele dei lavoratori“. E anche il lavoro da remoto, il cosiddetto smart working, vive di estremi: ai piani alti “lavoro prestigioso, appagante, ben remunerato“, ai piani bassi “forme di precarietà non desiderate, subite, talvolta oltre il limite dello sfruttamento“.
“Non ci sono ricette facili per un mondo del lavoro condizionato da mercati sempre più interdipendenti” ma per sanare le disparità la soluzione non è “inseguire politiche assistenziali quanto, piuttosto, fare una scelta di sviluppo e, quindi, di lungimirante coesione sociale“.
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