Vegliare anche nella pandemia, di Rocco D'Ambrosio
Il vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». (Mc 13, 33-37).
29 novembre 2020. Per quanto i termini attesa, veglia, speranza non siano termini che rientrano spesso nella logica del nostro mondo tecnologico e organizzativo, tecnocratico, è innegabile che, in diversi modi, oggi sono più citati che mai. La pandemia suscita, quasi naturalmente, il senso di attesa presente in ognuno di noi. Tutti, per un verso o per l’altro, vogliamo che finisca presto e bene.
Attendere vuol dire aspettare e vegliare vuol dire attendere con trepidazione, desiderio, attenzione, senza addormentarsi. Il termine non è un'invenzione del Vangelo, fa parte della realtà stupenda dell'amore umano e divino. Si veglia per chi si ama o perché lo si attende o perché lo si custodisce nel suo sonno, nel suo bisogno, nella sua malattia. Chi è passato, o ci sta ora, in un reparto Covid, come paziente o come operatore sanitario, lo sa bene. E fa bene a raccontarlo; anche se certi asini (oggi si chiamano “negazionisti”) continuano a scherzare col fuoco e con la salute altrui e propria.
Se l'attesa del Signore non fa parte normalmente del nostro stile cristiano non è certo colpa del mondo odierno. Il mondo ha le sue logiche e tempi, stile e razionalità. I cristiani farebbero molto bene, senza accusare il mondo, a chiedersi perché non vegliano più per il Signore. Sarà forse che lo amiamo poco? Il Signore è venuto, viene e verrà. Viene nella nostra vita in tanti e tanti modi. Verrà alla fine della nostra vita come alla fine dei tempi. “Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati”. Veglio per Lui? Prego? Oppure mi rifugio in idiozie e panacee per non affrontare la realtà? Cosa vuol credere o attendere o sperare in tempi di Covid?
Vegliamo poco per il Signore. Sarà per questo che ci sono in giro pochi leader "vegliardi", nella Chiesa come nel mondo. I "vegliardi" sono quelli che scrutano i tempi, ne colgono i segni più importanti e indicano umilmente strade di rinascita, di vita, di autentico sviluppo di tutte le persone. Non sono vegliardi quelli afflitti dalla sindrome di essere "salvatori della patria”; né quelli che tra populismi e interessi personali promettono di uscire dalla pandemia sventolando qualche bacchetta magica.
Vegliare non è il mestiere di populisti e imbonitori televisivi. Vegliare non è neanche un dovere. Vegliare può essere solo un desiderio. È attività del cuore quanto della mente. È puro amore. Chi veglia per lavoro, nei tanti nobili mestieri di assistenza, non veglia, ma appunto assiste. Vegliare è di più, molto di più. Vegliare è protendersi verso l'altro finché questi non abbia pienezza di riposo, o salute, o vita.
Vegliamo!
Rocco D'Ambrosio
foto: Cattedrale di Bari, di Michele Cassano, autore del volume "La Cattedrale di Bari tra luce, cielo e terra", Gelsorosso, 2020