Tenerezza o cattiveria?, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10, 25-37).
14.7.2013: Forse, tra le tante cose che diamo per scontato, c’è anche quella che avremmo la volontà e il desiderio di andare da un saggio e chiedere: Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? Ho i miei dubbi. Non perché osservo (anche) gli altri, ma perché osservo me stesso e mi rendo conto che la tentazione di sentirsi a posto, maestri di se stessi e paghi del proprio sapere è forte, molto forte. Dunque, cosa chiediamo al nostro maestro? Il dottore della legge chiede qualcosa che già sa per i suoi studi, forse lo fa per mettere alla prova Gesù, forse perché le risposte note non gli bastano più. Chissà! Comunque chiede, si pone in una situazione di ricerca, più o meno autentica. Sa già dell’amore per Dio e per il prossimo, ma vuole essere sicuro sul chi è mio prossimo?
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Leggo e rileggo questa parabola mentre sentimenti contrastanti albergano in me. Il Samaritano è mirabile esempio di compassione - forse più precisamente andrebbe tradotto: tenerezza. La sua tenerezza è concreta: lui vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. E’ bella quanto pratica; è profonda quanto utile. Non così il sacerdote; non così il levita. Loro vedono e passano oltre. La loro indifferenza è brutta quanto ideologica; è superficiale quanto stucchevole.
Fin qui niente di nuovo. I sentimenti contrastanti nascono dal sentirsi e comportarsi raramente da Samaritani e molto spesso da sacerdoti e leviti. Né più, né meno con gli stessi sentimenti, nell’uno come nell’altro caso. Tutte le motivazioni, discorsi e ragionamenti, in un baleno, mostrano tutta la loro pochezza. Sono (siamo) più sacerdoti e leviti che Samaritani. Signore aiutaci!
Ha detto Francesco a Lampedusa: Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!