Serenità come denominatore, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 1-12).
1 novembre 2020. Il monte Tabor, dove Gesù pronunciò il discorso delle Beatitudine è un luogo di pace, silenzio e meditazione. Per alcuni aspetti è è il luogo ideale per meditare l’invito a essere “beati” in diverse situazioni; per altri aspetti è un luogo lontano dalle sfide che le beatitudini pongono. Sono convinto che ambedue le cose sono vere, anche se in parte un po’ contraddittorie. Gesù proclama beati, felici (makàrioi) coloro che vivono situazioni difficili, anche in stato di privazione di beni fondamentali.
E la contraddizione, in questi giorni, si sente ancora di più. Viviamo momenti di paure, incertezze , sofferenze un po’ per tutti, per alcuni di dolore e di morte, per diversi lavoratori di grande sacrifico per la collettività. Siamo noi, nelle situazioni difficili, beati, felici, sereni? Lo si può essere? Quella del Signore è una pia raccomandazione, fuori del tempo e delle prove? O è un possibile stato di vita, nonostante le avversità?
Chi vuole seguire il Signore sa che, essere “beato”, cioè “felice”, "sereno" in situazioni difficili, è una vera e propria sfida. Uno dei discorsi più vuoti e inutili sulla santità è attribuire ai tempi che viviamo la difficoltà del seguire le beatitudini evangeliche. Perché sono esistititi tempi favorevoli alla coerenza evangelica? Suvvia, non diciamo sciocchezze! Da che mondo è mondo povertà, pace, giustizia, solidarietà, mitezza, misericordia non sono state mai di moda. La santità non si gioca “intorno a me”, ma “dentro di me”. Parliamo molto di santi e santità dimenticandoci di questa profonda e radicale scelta interiore per essa.
Ma vorrei dire un’altra cosa molto importante per il cammino di santità personale. La scrive molto bene Dietrich Bonhoeffer: “Ora dobbiamo ricondurre ad un comune denominatore guerra, matrimonio, Chiesa, questioni professionali, problemi per l’abitazione, pericoli incombenti sulle persone che ci sono vicine, e la loro morte, e infine la situazione particolare in cui mi trovo attualmente. Per la maggior parte delle persone queste cose si presentano l’una accanto all’altra, senza collegamento. Questo, per i cristiani e le persone “culturalmente formate”, è impossibile; non si può né dividerle né frammentarle; deve essere possibile trovare il denominatore comune sia sul piano del pensiero, che in quello del comportamento unitario nella vita personale. Chi si lascia lacerare dagli eventi e dalle questioni, non ha superato la prova né per il presente né per il futuro”.
Allora santità è fare sintesi nella vita di quelli che noi chiamiamo problemi e preoccupazioni: matrimonio, relazioni, Chiesa, lavoro, casa, famiglia, paure di malattie, pandemia, pericoli incombenti sulle persone che ci sono vicine, e la loro morte, e infine la situazione particolare in cui mi trovo attualmente… La sintesi è trovare il comune denominatore. E se questo fosse l’abbandono nelle sue mani? Non proveremmo allora di essere beati, felici (makàrioi) come Gesù insegna?
Rocco D’Ambrosio