La passione del leader, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10, 11-18).
22 aprile 2018. E’ ormai una moda parlare di leader, come di percorsi formativi per la leadership. Come tutte le mode culturali nasconde alcune analisi ed esigenze reali e, purtroppo un sacco di chiacchiere. Leader, per diversi aspetti, si nasce e la formazione, necessaria e indispensabile, deve portare a sviluppare e migliorare doti naturali, già esistenti. Natura insegna che non tutto è per tutti. Leadership inclusa. Del resto basta osservare le passerelle dei politici di italiani, di vecchia o nuova leva, e capire come, forse, metà di loro dovrebbero cambiare mestiere. Pochi leader autentici e, come direbbe Gesù, molti mercenari.
Nel linguaggio di Gesù il leader è il pastore, che si oppone, come modello e come prassi, al mercenario. Il primo conosce le pecore, le ascolta, ne ha cura, le difende, le guida, le riconduce all’ovile, offre la vita per loro; il secondo ruba, uccide, distrugge, abbandona la scena e fugge via quando le pecore sono in pericolo. Detto altrimenti, il pastore ama, mentre il mercenario odia; il pastore si prende cura e ha passione per gli altri, il mercenario trascura. Ieri papa Francesco ha celebrato la memoria di uno dei leader più autentici della nostra storia italiana, civile ed ecclesiale: Tonino Bello.
Il discorso di Gesù sembra essere orientato a farci comprendere come la passione per gli altri - da tradurre come amore, tenerezza, aver cura, sguardo profondo - sia qualità fondamentale ed essenziale, non solo nella normale vita cristiana, ma anche in quella di responsabilità, cioè dell’esercito del potere, nella Chiesa come nel mondo. Evangelicamente non si può concepire un potere, che non sia esercizio di passione e intelligenza, cura degli altri e dono di sé.
Don Tonino fu un uomo di passione. Di questa passione, oggigiorno, c’è ne ben poca e, forse, anche per questo, ci sono pochi e autentici leader. Penso alla passione particolare, che don Tonino ha testimoniato, per temi quali bene comune, solidarietà, accoglienza e promozione degli ultimi, giustizia e legalità, promozione della pace e della salvaguardia dell’ambiente naturale, fedeltà al Vaticano II, su cui, oggi, alcuni pastori e laici cattolici tacciono o, ancor peggio, tradiscono il messaggio evangelico per maggior potere e profitti. Penso anche alla passione, di don Tonino, nel richiamare politici ed intellettuali meridionali nel non abbandonare «l’agorà, e, disertare la strada, staccandosi dal popolo». Dall’altra parte, penso alla passione che manca ai leader di diverse comunità, religiose o laiche che siano. Gli insegnamenti di Bello sono anche aiuto a formare nuovi leader che non siano degli eroi, magari disumani e avulsi dai contesti vitali, ma donne e uomini che sanno capire quello che succede, soffrire con la gente e aiutare a progredire nel bene, incoraggiare e soccorrere chi ha bisogno, specie gli ultimi. Don Tonino fu leader autentico perché ebbe tanta passione, cioè fu capace - come lui diceva - di «far maturare la giustizia, l’uguaglianza, la libertà con alacre passione e senza cedimenti».
Rocco D’Ambrosio