Pastori o mercenari, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10, 11-18).
26 aprile 2015. Nel linguaggio di Gesù il leader è il pastore, che si oppone, come modello e come prassi, al mercenario. Il primo conosce le pecore, le ascolta, ne ha cura, le difende, le guida, le riconduce all’ovile, offre la vita per loro; il secondo ruba, uccide, distrugge, abbandona la scena e fugge via quando le pecore sono in pericolo. Detto altrimenti, il pastore ama, mentre il mercenario odia; il pastore si prende cura, il mercenario trascura.
Il discorso di Gesù sembra essere orientato a farci comprendere come l’amore sia qualità fondamentale ed essenziale, non solo nella normale vita cristiana, ma anche in quella di responsabilità, cioè dell’esercito del potere, nella Chiesa come nel mondo. Evangelicamente non si può concepire un potere, che non sia esercizio di amore concreto, sull’esempio del Cristo a cui il Padre ha dato ogni potere in Cielo e in terra, potere da lui esercitato per amore, sempre e comunque, sino alla fine, cioè al dono totale di sé. A margine ricordiamo che su questa linea concettuale s’inserisce la definizione cattolica della politica come “il campo della più alta carità” (Pio XI e Paolo VI).
Ci può essere anche utile la riflessione di Agostino, non solo per la sua nota profondità, ma anche per la straordinaria similitudine tra la crisi del suo tempo e la nostra. L’amore crea, “dà origine alla città”. L’amore è, quindi, la massima forza relazionale ed aggregante. E le due città, quella umana e quella divina, furono originate da due tipi amore. Per quanto riguarda la città terrena, ciò che aggrega è “l’amore di sé fino all’indifferenza per Dio”; per la città celeste, invece, è “l’amore a Dio fino all’indifferenza per sé”.
Ringraziamo il Cielo per il dono di papa Francesco che non si stanca di esprimere la sua forte opposizione a ogni mercenario, corrotto o pedofilo che sia, per riportarci tutti alla fedeltà evangelica. La sua testimonianza sarà efficace solo nella misura in cui avremo il coraggio di smascherare tutti quei poteri che sono “amore di sé e indifferenza di Dio”, come dice Agostino. E questo, come diceva Ritter, richiede un grande “esercizio di ragione, diritto e morale”.
Rocco D’Ambrosio