In salita, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9, 18-24).
19 giugno 2016. Avremo certamente detto diverse volte, alle persone che amiamo, ma io chi sono per te? Domanda cruciale e risposta determinante per la qualità delle relazioni coinvolte. Anche Gesù chiede di se stesso, non solo per confermare la relazione con i suoi discepoli ma per ... portarli più sù. Sembrerebbe che voglia far fare loro un salto di qualità. Non basta rispondere Il Cristo di Dio, come fa Pietro, un po‘ a nome di tutti. E‘ necessario che la relazione con il Cristo si apra a comprendere che Lui è sì il Cristo, ma dire Cristo di Dio vuol dire prendere coscienza che deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Certamente non facile. Gesù chiede ai suoi di passare da una professione di fede a una partecipazione piena al culmine della sua vicenda terrena: passione, morte e resurrezione.
In quest’ottica sembra molto riduttivo e quasi banale pensare che la croce che Gesù propone ai suoi discepoli - prenda la sua croce ogni giorno e mi segua - sia un semplice invito a sopportare dolori e avversità che tutti, non solo i cristiani, hanno. In altri termini Gesù non sta dicendo che essere buoni cristiani significa accettare dolori fisici e spirituali, guai e problemi che non mancano mai, ovunque e a tutti. Infatti, prima di tutto il prenda la sua croce ogni giorno e mi segua è preceduto da il rinneghi se stesso. Gesù non parla di guai umani, per quanto importanti, ma di lavoro con se stessi, di dominio di sé, di educazione di sé per arrivare a seguirlo. E su questo discorso si innesta il perdere la vita per salvarla.
In altri termini è uno di quei brani che chiede una verifica profonda: fino a che punto siamo disposti a metterci in gioco nella sequela di Gesù. Il rischio di essere superficiali, di accontentarsi di un cristianesimo di facciata o borghese è molto frequente. Tutto questo nel vivo della nostra vita, dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, dei nostri dolori e amori, delle relazioni e del lavoro, dei nostri progetti e desideri. L’ha scritto bene Theilard De Chardin: “Il cristianesimo non è, come lo si rappresenta o vive talvolta, un carico supplementare di pratiche e di obblighi che appesantiscono, aumentano ancora l'onere già così gravoso della vita sociale o ne moltiplicano i legami già tanto paralizzanti. E', in un senso vero, un'anima possente che conferisce un significato, un fascino e una leggerezza nuova a ciò che già facevamo. Orienta, certo, i nostri passi verso cime inattese. Ma la salita che conduce a queste è talmente in armonia con quella che già naturalmente percorrevamo che niente è più definitivamente umano nel cristiano del suo stesso distacco”.
Rocco D’Ambrosio