Il Regno nelle nostre mani, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21, 33-43).
5.10.2014. Chi conosce la vita dei campi sa bene quale legame profondo si instaura tra il coltivatore e la terra. Passione, amore, cura e preoccupazioni sono pane quotidiano per chi semina, coltiva e aspetta di ottenere un buon raccolto. Affidare, poi, tutto questo ad altri è fonte di ulteriori preoccupazioni. È una dinamica che riguarda non solo la vita dei campi ma ogni realtà umana, relazionale o professionale che sia: porre in mano altrui quanto ho di più caro.
Il buon Dio ha fatto così con noi e continua a farlo. Ha posto nelle nostre mani il creato, con tutti le sue ricchezze, ci ha donato la vita e ci ha resi membri di una vita più grande che è quella del suo Figlio, affidandoci il suo regno. Vogliamo altro?
Eppure siamo così abituati a questi doni, che li riteniamo scontati, anzi, in alcuni momenti, iniziamo persino a pensare che ci spettino, per chissà quale merito; pensiamo anche che Il buon Dio addirittura non possa fare a meno di noi. Si chiama presunzione e ha mille forme, dalle più sottili alle più sofisticate.
La presunzione spesso nasce perché abbiamo perso il senso del dono e la gratitudine per esso. Niente mi è dovuto. Tutto è grazia, direbbe Bernanos in uno dei suoi romanzi. Tutto è grazia. Tutto è dono del buon Dio. Non meritiamo mai niente. Dio non ha debiti con noi, siamo noi ad averne con lui. Quando ci affida qualcosa dobbiamo sempre dire: grazie!
Ci è tutto gratuitamente affidato: la vita, l'intelligenza, le emozioni, la famiglia, il lavoro, le relazioni, il potere, i beni materiali. Tutto. Tutto ci è affidato perché possiamo portare frutto secondo il suo volere, perché lui è l'unico e sommo padrone, il Signore.
Come tutto ci è affidato, tutto ci può essere tolto. Non c'è nessuna garanzia per un possesso perpetuo. Questa sarebbe una delle forme più pericolose di presunzione. A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti, dice Gesù.
Chiediamo al Signore di conservarci in gratitudine e umiltà. Pensiamo a quanto riteniamo di più prezioso nella nostra vita (famiglia, relazioni, lavoro, ministero ecclesiale, beni materiali, potere sugli altri) e ricordiamoci che il Signore non ci penserà due volte ad affidarlo ad altri se noi non portiamo frutti in lui e per lui. E così molte pietre scartate diventeranno pietre d'angolo. Che ci vogliamo fare... È il Signore. È il suo stile.
Rocco D'Ambrosio