Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3, 14-21).
15 marzo 2015. Quello del mondo è un tema ricorrente nei nostri discorsi ecclesiali: omelie, catechesi, scritti pastorali, pubblicazioni. Ma parlare del mondo non è assolutamente facile. Forse la prima difficoltà sta nel ricordarci costantemente che il mondo contemporaneo è complesso e, spesso, anche complicato. In una società che non è più monolitica le posizioni sono tantissime e diversissime: non esiste solo il bianco e il nero, ma anche tante sfumature di bianco e di grigio. Esistono le persone, con tutto il loro carico positivo e negativo, di grazia e di peccato. Esistiamo noi, esisto io: tra e con le persone di questo mondo. Solo un’analisi superficiale e faziosa potrebbe portare a pensare che il mondo possa essere diviso in buoni tutti da una parte e cattivi tutti dall’altra. La frattura è ben più complessa e variegata di una divisione pura e semplice tra buoni e cattivi, in steccati rigidi e invalicabili tra loro; senza dimenticare, che per noi cristiani, la divisione tra bene e male passa prima di tutto in ognuno di noi, come insegnano le Scritture.
La complessità odierna impone molta maturità ed equilibrio; impone anche rispetto e prudenza nel comprendere la realtà da parte di pastori, educatori, genitori, catechisti. Forse mai come oggigiorno ci vuole cura per le persone e amore per lo studio, insieme a tanta calma, pazienza, coraggio e lungimiranza nello studiare quanto succede dentro e fuori di noi (ne ho scritto nel mio ultimo libro "Non come Pilato. Cattolici e politica nell'era di Francesco, ed. la meridiana-Cercasi un fine, 2015). Posizioni integraliste, reazionarie, arroccate nella difesa, a qualsiasi costo, del proprio orticello hanno poco rispetto della complessità e poca attenzione alla gradualità del ricercare, sapere e trasmettere. Inoltre diventano spesso gesti piuttosto di condanna e rifiuto, che tradiscono l’evangelico invito a non condannare il mondo ma a salvarlo.
Ieri è stato annunciato un anno di riflessione all'insegna della misericordia. Senza nessuna condanna. La condanna è frutto di gente, come ricorda Maritain, dall’intelletto molle e dal cuore arido; l’amore, invece, appartiene a chi ha l’intelletto duro e il cuore molle. O, con le parole di Benedetto XVI, dovremmo dire: “Non c'è l'intelligenza e poi l'amore: ci sono l'amore ricco di intelligenza e l'intelligenza piena di amore”. Francesco, su questa scia, chiede, a tutti coloro che sono impegnati nel mondo, di interessarsi “ad ogni uomo e alle sue istanze più profonde, che spesso restano inespresse o mascherate. In forza dell’amore di Dio che avete incontrato e conosciuto, siete capaci di vicinanza e tenerezza. Così potete essere tanto vicini da toccare l’altro, le sue ferite e le sue attese, le sue domande e i suoi bisogni, con quella tenerezza che è espressione di una cura che cancella ogni distanza".
Fa molto pensare come l'opposizione agli inviti del papa non provenga solo da coloro che appartengono per storia e sensibilità teologica ed ecclesiale a gruppi ben precisi (tradizionalisti, lefreviani, anti ecumenici e così via) ma caratterizzi anche, in maniera spesso nascosta e ipocrita, settori ecclesiali di persone di formazione conciliare che comunque non apprezzano e seguono quanto Francesco dice. Un parroco romano, tutt'altro che tradizionalista e anti conciliare, mi ha raccontato: "All'inizio papà Francesco mi infastidiva per quello che faceva e diceva. Poi mi sono chiesto: ma perché mi succede questo? Riflettendoci sono arrivato a una risposta: mi ero costruito un'idea di Dio e di Chiesa sicura e inespugnabile. Francesco me la ha messa in crisi. E mi sono sentito meglio quando l'ho riconosciuto e ho cercato di cambiare". Non è Francesco il problema, ma la misericordia di Dio.
Rocco D'Ambrosio