Gratitudine e gloria, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17, 11-19).
13 ottobre 2019. Avevo un’anziana amica, donna forte e coerente, che mi ripeteva spesso: “Quanta è brutta l’ingratitudine!” Nella vita ne aveva passate tante: incomprensioni, lotte, scorrettezze, maldicenze e così via. Di queste non si lamentava quasi mai, ma dell’ingratitudine sì e spesso. Sembrava così forte da sopportare tutto, ma non il vedersi negato un grazie, specie da coloro, in famiglia e in parrocchia, per i quali aveva fatto tanto, con sollecitudine e generosità. Sembrava che tutti i grazie negati li stesse ancora aspettando.
Mi ritorna spesso in mente la sua testimonianza, il suo lamentarsi per l’ingratitudine; specie quando leggo questo brano. Gesù stigmatizza l’ingratitudine senza mezzi termini: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. Uno su dieci torna a rendere lode a Dio! Noi, che Gesù non siamo, forse dovremmo aspettarci uno su venti o cento o uno mille? Qualche volta avevo provato anche a dirlo alla mia anziana amica...
Ma il brano non è solo un insegnamento sulla gratitudine, quasi una lezione di buona educazione. La vicenda del lebbroso ritornato è una lezione su ciò che la gratitudine apre davanti a sé. Il lebbroso straniero, al pari degli altri, aveva già ricevuto il miracolo fisico. Ma solo e solamente quando torna a rendere gloria il miracolo raggiunge la pienezza: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”, gli dice Gesù.
Solo se rendiamo gloria a Dio per il bene che lui opera nella nostra vita riceveremo la sua salvezza. Possiamo ricevere tutti i miracoli di questo mondo ma saremo in Lui per sempre solo se lo riconosciamo come unico Signore, lo adoriamo e gli diamo gloria. Sì, perché Dio è geloso: qualsiasi opera, evento, dono, incontro deve iniziare da Lui e portare a Lui. Rendendogli quanta maggior gloria possiamo.
Quello del rendere gloria a Dio è un atteggiamento fuori moda oggigiorno: non solo perché sempre meno diciamo grazie a chi ci aiuta, ma anche e soprattutto perché siamo spesso così pieni di noi stessi che non c’è spazio per la gloria di Dio. Per la nostra gloria sì, ma per quella di Dio, forse, raramente e in tono minore. E invece è così bello dire: Grazie Signore! E‘ così salutare pensare prima a Lui quando ci accade qualcosa di bello e fecondo, magari dicendo: Lode a Dio! E‘ così da persona matura ricordarsi che passa tutto: io, noi, gli altri, le cose belle e brutte, gli eventi personali e quelli comuni, la storia... passa proprio tutto. Resta solo Dio.
E se non vogliamo essere esclusi dalla Sua gloria, dobbiamo rendergliene tanta, e sempre. Comunque. Nella buona e cattiva sorte. Dobbiamo rendergli gloria quando Lui da - e ciò non è cosi difficile - ma anche quando lui toglie. Come afferma Giobbe: “Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò.Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!” (1, 21).
Oggi il papa canonizza John Henry Newman (1801-1890), uno dei maggiori teologi dell’epoca moderna, ma anche storico, romanziere e umanista. Era lui a scrivere: “Ognuno confronti quanto ha pregato nel momento della prova a quanto ha ringraziato quando le sue preghiere sono state esaudite”.
Rocco D’Ambrosio