Il tarlo dell'avidità, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (Lc 12, 13-21).
31 luglio 2016. Non so se avete mai sentito, o vissuto, storie di eredità. Sono tra le più brutte e tristi che si possano avere nel campo delle relazioni: fratelli e sorelle che si incattiviscono per un pugno di euro in più, infangando la memoria dei genitori e dei parenti defunti. Gesù sembra non volerci entrare: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”. Eppure il suo non è disinteresse ma un voler evidenziare l’origine di questi atteggiamenti: la cupidigia. Infatti aggiunge: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”.
“Cupidigia” è un termine quasi fuori moda. Usiamo più il termine avarizia, desiderio di ricchezze. “Cupidigia” un po’ meno. Eppure l’atteggiamento è tutt’altro che fuori moda: avidità sfrenata - dice il vocabolario - di ricchezze, di possesso. Forse è così diffusa che rifiutiamo di chiamarla per nome. Forse è così all’origine di tanti guai personali e sociali, nazionali e globali da far finta di non riconoscerla. Di questi tempi dovremmo pensare a quanta cupidigia è alla base delle violenze che si moltiplicano attorno a noi.
Si ruba, si uccide, si spaccia, si traffica, si abusa del proprio potere, si falsano bilanci e leggi, si tradiscono amici, si abbandonano o si spaccano famiglie, si vendono figli e persino sacramenti, ci si rende la vita infelice (la propria e l’altrui) pur di avere di più, sempre di più. Come l’uomo ricco di cui parla Gesù: accumula, accumula… Ma a che gli serve, se deve morire? E quello che ha accumulato di chi sarà? Forse di parenti litigiosi che si scanneranno perché anche loro devono accumulare sempre di più. Pensiamo ai drammi delle eredità contese tra figli, spesso anche per poche centinaia di euro!
Quella dell’avidità è una spirale che va interrotta quanto prima. Prima che ci rovini la vita; se non l’ha già fatto. Ma come interrompere questa spirale di avidità? I maestri di vita spirituale indicano diverse vie. Iniziamo da una delle prime: l’accontentarsi di quello che si ha. Saper vivere con quello che si ha. Saper arrangiarsi anche quando quello che si ha rasenta la sufficienza. Saper ringraziare Iddio per quello che ci dona e ricordarci, con una carità operosa, di chi ha meno.
La nostra vita non dipende dai beni, ci ammonisce Gesù. Dobbiamo lavorare, risparmiare, investire ma senza diventare avidi. Se diventiamo avidi, se non ci accontentiamo vuol dire che facciamo dipendere la nostra vita dai beni. Penso a tanti professionisti, avidi di denaro e ricchezze, che pensano di essere “buoni” imprenditori, medici, architetti, ingegneri, avvocati, commercialisti, consulenti, politici, ecclesiastici, e così via, solo perché guadagnano molto e rapidamente. La loro vita, la loro maturità e realizzazione professionale dipendono dai beni. Hanno perso il senso e il gusto di vivere. Sono morti, nel cuore e nella mente, di avidità. Che tristezza. Ma non sono solo loro così. Anche quelli meno ricchi, operai e lavoratori dipendenti, persino disoccupati, spesso, anche loro, sono morsi dall’avidità. Non perché hanno ma perchè vorrebbero avere e muoiono di invidia nel guardare chi ha. Tutti, ricchi e poveri, se sono avidi, diceva Mazzolari sono “solo ingordi che vogliono mangiar ancora, mangiar sempre, null’altro che mangiare”.
Che il Signore ci liberi tutti, ricchi e poveri, da questo tarlo. Nel finale della parabola Gesù ci ricorda: Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio. Non so cosa significhi arricchire presso Dio. Tento un’interpretazione: cosa fa ricco nostro Signore? Non è l’amore e la tenerezza per tutti? Di amore possiamo e dobbiamo essere ricchi. Altrimenti ci siamo resi la vita infelice, solo perché il denaro è diventato più importante di persone e affetti. Ma non vale la pena dare tutto questo potere, nella nostra vita, al denaro e alle ricchezze. In nessun modo, per nessun motivo. Mai.
Rocco D'Ambrosio