Gesù e le contrarietà, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino (Lc 4, 21-30).
3 febbraio 2019. La vita è piena di contrarietà. Gli esperti ci insegnano che accettarle, gestirle e superarle è fondamentale per il nostro equilibrio e per la nostra serenità. Mettendoci nei panni di Gesù, sembra che non sia stato affatto facile nella sinagoga di Nazaret: Gesù è oggetto di sospetti, rifiuti, pretese, sdegno, minacce di violenza e morte.
L’evento può essere commentato sotto molti punti di vista. Provo ad analizzarne qualcuno. La sua missione è messa in dubbio sulla base di invidia (per quello che Gesù aveva operato a Cafarnao) e rifiuto sella sua persona perché troppo ovvio, comune, figlio di uno di loro, quindi non avente i requisiti per essere il Messia. Chi conosce la storia della Chiesa, sa bene che denigrazione e invidia, rispetto al profeta, sono elementi molto, ma molto frequenti.
Gesù non si spaventa di ciò ma cerca di riportare, da autentica profeta, l’attenzione sullo stile di Dio: il Signore sa che il profeta non è riconosciuto e accettato tra i suoi, per questo offre la sua salvezza ad altri, ai cosiddetti lontani. E’ stato così per Elia e la vedova, per Eliseo e Naaman il Siro. Il Signore disperde invidiosi, superbi e saccenti nei pensieri del loro cuore (cf. Lc 1, 51). La salvezza non è non sarà mai per questo tipo di persone, non perché Lui non li voglia salvare, ma perché essi non si vogliono salvare, troppo chiusi in se stessi, troppo idolatri di se stessi per aprirsi al Liberatore.
Mi ha sempre colpito che Gesù non faccia niente per convincere i presenti di questo stile di Dio. Lo annuncia solamente e, mentre il loro sdegno aumenta e tramano di ucciderlo, “egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. I profeti non sono chiamati a convincere ma ad annunciare. Il rifiuto è da mettere in conto. Del resto i profeti non parlano per trovare consenso: se lo facessero non sarebbero più tali. I profeti parlano per annunciare il regno di Dio e far ritornare a Lui. E ciò non va da sé, ma ha mille contrarietà, in noi e attorno a noi.
L’atteggiamento di Gesù, forse, può dire anche qualcosa a noi, che profeti non siamo, ma abbiamo comunque delle contrarietà nella nostra vita. Dobbiamo imparare, sempre più, a non montarci la testa, a verificare in umiltà e saggezza le nostre idee, a parlare e agire perché crediamo in qualcosa o qualcuno; non perché aspettiamo il consenso. E’ questo che ci dà la forza, nelle piccole e grandi contrarietà, di passare in mezzo a invidie e conflitti, per proseguire il nostro cammino.
“La predicazione - scriveva Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, da giovane sacerdote - si completa e si avvalora con la forte lezione del buon esempio e di non curare l'esteriorità, la vanità, la ricerca di lode e di approvazione; ma di offrire la virtù vera, evidente o no, contraria o no all'opinione pubblica”.
Rocco D’Ambrosio