Conoscersi in umiltà, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». (Lc 18, 9-14).
27.10.2013: La parabola fu detta per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. A essere onesti fino in fondo qualche presunzione ce l’abbiamo tutti, chi più, chi meno. Con ciò non voglio dire che siamo tutti uguali: grazie a Dio ci sono molte persone umili come il pubblicano, anche oggi. Ma il problema non è a quale categoria si appartiene, bensì cosa si pensa di se stessi, sia nel silenzio della nostra solitudine, sia quando siamo di fronte al buon Dio.
Cosa penso di me? Mi conosco? Trovo molto interessanti tutti quei percorsi e studi, delle scienze umane, che aiutano a definire se stessi con competenza e profondità. Del resto la filosofia, con Socrate, è nata come grande invito a conoscere se stessi.
Conoscere se stessi è un lavoro molto utile per la crescita e la maturazione, è indispensabile, eppure - se ci pensiamo bene - tutto questo davanti a Dio perde molto della sua validità. Signore, tu mi scruti e mi conosci - prega il salmista - tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie. La mia parola non è ancora sulla lingua ed ecco, Signore, già la conosci tutta.
Il Signore sa già tutto, quindi quando siamo davanti a lui non dobbiamo raccontargli niente, né tantomeno recitare a soggetto, dobbiamo essere solo veri, dobbiamo solo per scoprirci per quello che siamo. Il Signore sa molto bene quello che siamo, ma a noi, davanti a Lui, fa bene prenderne sempre più coscienza. Scrive l’autore della Nube della non-conoscenza: In se stessa, l'umiltà non è nient'altro che la vera conoscenza e la piena coscienza del proprio io, così com'è.
E l’aver coscienza e conoscenza di quello che sono, se fatto autenticamente, ci fa sentire un profondo, profondissimo bisogno di essere completati, ricolmi, inondati dalla misericordia di Dio. Ha scritto Teresa d’Avila: Credo che non arriveremo mai a conoscerci, se insieme non procureremo di conoscere Dio. Contemplando la sua grandezza, scopriremo la nostra miseria; considerando la sua purezza riconosceremo la nostra sozzura; e innanzi alla sua umiltà vedremo quanto ne siamo lontani.
Umiltà deriva da humus, “terra”, e ha la stessa radice di umorismo. Il Vangelo non ci presenta mai un’umiltà sciocca, ipocrita o triste. Il Signore ci chiede una fecondità di vita che consiste nel riconoscere la verità della mia terra, humus, e saper attendere il Signore che la fecondi per portare frutti a Lui graditi.
Rocco D'Ambrosio