Attese, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». (Mt 24, 37-44).
1.12.2013. Mi sono sempre chiesto se basti - per educare all’attesa - invitare genericamente ad attendere, nel nostro caso, il Signore e pensare che il tutto, quasi automaticamente si realizzi. Funziona così? Non proprio. Partiamo dalle nostre piccole e grandi attese. Se li analizziamo bene ci rendiamo conto che attendiamo persone o eventi che amiamo o desideriamo, per un motivo o per un altro. Si attende l’amico, l’amato o l’amata, i propri cari lontani, o, se stiamo soffrendo, migliori situazioni di salute o di condizione esistenziale (economica, specie di questi tempi). Non si attende chi non ci interessa o eventi che ci lasciano indifferenti.
La conseguenza di tutto ciò sarebbe molto chiara: non attendiamo il Signore perché lo amiamo poco, ci interessa poco. La famosa critica di Ignazio Silone avrebbe oggi ancora tanto senso e ragione: Non potevo stare tra gente che dice di attendere la vita eterna, il ritorno di Cristo in gloria, il mondo nuovo con la stessa indifferenza con cui si aspetta il tram. Che ci piaccia o meno, è così. Il senso dell’attesa svela il nostro reale amore per il Signore. Con amici, amati, parenti ed eventi importanti ci comportiamo diversamente. Il Signore, invece, molto spesso lo trattiamo… come il tram! Un grande credente, Theilard De Chardin, ha scritto: Continuiamo ad affermare che siamo desti nell’attesa del Maestro. In realtà, se volessimo davvero essere onesti, dovremmo ammettere che non aspettiamo più un bel nulla.
Si può porre rimedio a questo deficit di attesa? Ossia esistono cammini educativi per imparare ad attendere il Signore? Risponderei che essi sono non molto diversi da quelli di fede, in senso lato. Chi crede, ama e attende. Se non attende, qualcosa non va nella sua fede e nel suo amore per il Signore. Tutto qui? Sembra proprio di si: si può passare la vita mangiando e bevendo, prendendo moglie e marito senza accorgersi di ciò che conta, di ciò che è vero, di ciò che dura. Si può anche far finta di credere nel Signore senza che questa discutibile fede ci smuova più di tanto, nei pensieri, nei sentimenti, come nella vita. Se stiamo in questa situazione saremo tra quelli che non entreranno nel suo Regno: Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Essere pronti, allora, vuol dire qualcosa di molto impegnativo per i miei pensieri, per il mio e la mia vita. Ha scritto William Shakespeare nel suo King Lear: Gli uomini debbono pazientare per uscire da questo mondo proprio come per entrarvi; tutto sta nell’essere pronti.
Rocco D’Ambrosio